Resoconto del VI viaggio di Gazzella
Care amiche e cari amici,
finalmente nel luglio 2003 — nonostante le immaginabili difficoltà — ‘Gazzella’ è riuscita a realizzare il suo sesto viaggio nella striscia di Gaza. Ci scusiamo con tutti voi per il ritardo con il quale vi inviamo questo resoconto, da voi atteso con impazienza.
Il viaggio è stato possibile grazie alla determinazione e alla fatica delle nostre due volontarie — Giovanna, ritornata in Palestina dopo che lo scorso anno, sempre come volontaria di Gazzella le era stato impedito di entrare nella striscia di Gaza, per cui era rimasta suo malgrado a Gerusalemme, e Luisa che invece ha partecipato al nostro ultimo viaggio effettuato nel dicembre 2002.
Giovanna e Luisa hanno consegnato, casa per casa, bambino per bambino, 510 buste con il denaro da voi sottoscritto. Buste che contenevano non solo il vostro aiuto economico, ma anche parole di solidarietà e partecipazione. Non è stato facile: spesso si è reso necessario tornare più volte, prima di riuscire a trovare il ‘vostro’ bambino, in alcuni casi è stato impossibile: case rase al suolo e famiglie intere trasferitesi magari da parenti in altri campi profughi hanno reso irreperibili alcuni dei nostri ‘adottati’.
Non solo, con rabbia e dolore abbiamo appreso dai nostri amici palestinesi la morte di Mashur Abu Awada, uno dei nostri bambini adottati — ormai ragazzino quindicenne – . Era stato ferito alle gambe dai proiettili israeliani. Recentemente ricoverato in un ospedale pakistano per ulteriori accertamenti clinici, non è sopravvissuto ad un gravissimo attacco d’asma.
Ma cominciamo dal principio: nonostante il viaggio coincidesse con la tregua proclamata dalla resistenza palestinese, l’entrata delle due nostre volontarie nel paese si è rivelata più drammatica delle volte precedenti. Sono arrivate a Tel Aviv all’alba, alle cinque del mattino, e appena messo piede in aeroporto, sono state fermate dalla polizia che ha consegnato loro un foglio con timbro di diniego di ingresso, adducendo non specificate ragioni di sicurezza. Giovanna e Luisa sono state poi condotte in una cella dell’ufficio di polizia aeroportuale. Come pericolose criminali. I solerti e democratici poliziotti israeliani hanno sequestrato il loro telefono cellulare. Fortunatamente prima della confisca erano riuscite a comunicare brevemente con Sergio, altro volontario di Gazzella, e spiegare la drammaticità della situazione. Sergio immediatamente si mette in contatto con l’Ambasciata italiana e dopo estenuanti trattative Giovanna e Luisa vengono liberate, dopo 8 ore dal sequestro! E riescono ad entrare in territorio israeliano. Nonostante la tensione e la spossatezza psico-fisica, decidono di tentare di raggiungere Gaza lo stesso giorno, ma la polizia israeliana pretestuosamente richiede ancora un dichiarazione ufficiale da parte del consolato italiano a Gerusalemme circa i reali obiettivi della missione della Onlus Gazzella. Sono dunque costrette per due giorni a Gerusalemme. Infine — grazie ai funzionari del Consolato, sempre disponibili ed efficienti — riescono ad ottenere dalle autorità israeliane il lasciapassare.
“Ancora una volta Gazzella ce l’ ha fatta e vorremmo urlare dalla gioia, ma quel tratto di strada deserto con i soldati israeliani appostati ma invisibili ci spinge solo ad accelerare il passo. Quando saliamo sul taxi palestinese per Gaza City non riusciamo a trattenere qualche lacrima: ci sentiamo a casa fra amici, finalmente. Dal posto di confine di Eretz a Gaza già cominciamo a vedere gli effetti del passaggio dei bulldozer di questi ultimi mesi; Luisa è incredula di fronte a tanta distruzione: case e campi da cui sono sradicate le coltivazioni, (lo sradicamento lo abbiamo visto diffusamente, come pure gli spari intenzionali nei tronchi delle palme che così vengono definitivamente “uccise”, come nei pressi di Deir al-Balah, al centro della striscia di Gaza), e Luisa è stata qui solo sei mesi fa.
Gaza: l’accoglienza è calorosa e ci mettiamo subito a recuperare il tempo perduto; lavoriamo con i responsabili del Medical Relief per organizzare le giornate di visite nelle aree intorno a Gaza. L’indomani si comincia: l’immersione nella realtà dei campi è totale e immediata. Che c’è la tregua lo leggiamo sui volti degli amici del Medical Relief, anche se la fiducia è sottile mentre la speranza che sia duratura è forte. Vogliamo sottolineare ancora una volta la generosa disponibilità del Medical Relief a supportarci per tanti giorni nella nostra missione, nonostante le non poche difficoltà. Ci rendiamo sempre più conto che il tempo a disposizione per raggiungere un numero così elevato di bambini non ci consente di fermarci quanto vorremmo; per consegnare a tutti la busta con il denaro abbiamo a disposizione solo pochi minuti.
E’ a Khan Yunis e a Rafah che vediamo una realtà di distruzione che ha su di noi un impatto fortissimo. L’immagine delle case distrutte e della miseria contrasta con la grande speranza che la tregua duri per sempre e questa percezione ci ha accompagnato per tutto il viaggio. Non sempre abbiamo trovato i bambini in casa perché in estate, con la chiusura delle scuole, la gran parte di essi gioca per strada e negli stretti vicoli polverosi dei campi; altri vengono ospitati da parenti quando questi si trovano in luoghi meno esposti agli attacchi dell’esercito israeliano e altri ancora, una minoranza, hanno la fortuna di essere ospitati in qualche colonia o campo estivo, organizzati da Enti operanti nel territorio, fra cui il Medical Relief.. Per i bambini che giocano per strada siamo una piacevole novità e spesso ci seguono allegri e incuriositi, senza però mai diventare invadenti. Quando andiamo verso sud, a Khan Yunis e a Rafah, viaggiamo lungo la spiaggia, il mare ha un colore fra il grigio e il marrone ed è quasi sempre mosso, la sabbia è di un giallo forte ed è spessa; qui si vedono i campi estivi dei bambini. E’ stato tolto il terribile check point fra Gaza e il sud della striscia presso il quale si formavano lunghe file di auto e di gente a piedi in attesa che venisse riaperto, sempre per un tempo breve e sempre alla mercé della volontà israeliana; nei nostri viaggi precedenti abbiamo imparato a conoscere bene questo check point! Adesso, passando nello stesso punto si vede in disparte una torretta mimetizzata, ma i soldati israeliani non si vedono, la loro presenza però si sente. A Khan Yunis e a Rafah la situazione dei campi è davvero drammatica; tante sono le famiglie a cui è stata distrutta la casa dalle incursioni israeliane e non solo dai bulldozer; in particolare il campo di Al-Tuffah ci offre un quadro drammatico di distruzione e di miseria che ci confermeranno le famiglie dei nostri bambini. In tutte le zone, nelle immediate vicinanze di un insediamento di coloni, si sente che la tregua è appesa a un filo, la tensione quasi si respira; eppure anche qui incontreremo famiglie che con dignità e perseveranza ricostruiscono la casa o piantano nella sabbia qualcosa di verde, fiori, alberelli che curano con grande amore. A Khan Yunis dormiamo in un grande edificio della Mezza Luna rossa, dove in gran parte trovano permanente ospitalità persone disabili di diverse fasce di età e soprattutto bambini, per i quali si organizzano classi scolastiche regolari e corsi specifici in altri settori di apprendimento, durante tutto l’anno. Solo una piccola parte dell’edificio è adibita a Pensione, per gente di passaggio e familiari degli ospiti fissi. Parte dell’edificio è occupata da una colonia estiva: la notte sentiamo sparare e al mattino ci svegliano le risate e le grida dei bambini nelle loro divise tutte pulite. Dappertutto è pieno di cantieri edili: si ricostruisce”.
Oggi sappiamo che la forte speranza che la tregua potesse durare a lungo, è andata delusa.
A Gaza sono tornati i carri armati, i check point, e ancora le uccisioni di bambini e bambine.
Un saluto a tutti voi con la speranza che Gazzella possa essere sempre più efficace nell’aiuto ai bambini e bambine feriti.
Le volontarie di Gazzella
Gazzella Onlus
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