Resoconto del XIII viaggio di Gazzella

Pubblicato il 31 gennaio 2006 da Gazzella
 

RELAZIONE DEL VIAGGIO NELLA STRISCIA DI GAZA (22-31 gennaio 2006)

 

A tutti gli amici che sostengono un bambino palestinese attraverso il progetto Gazzella

 

Cari amici di Gazzella,

siamo ancora una volta – Giuditta ed Ugo – a farvi un resoconto del nostro ultimo viaggio nella Striscia di Gaza.

Il nostro viaggio a Gaza e’ iniziato domenica 22 gennaio: abbiamo scelto questo periodo per essere presenti anche allo svolgimento delle elezioni palestinesi, sulle quali vi riporteremo le nostre impressioni più avanti.

Una volta arrivati al posto di blocco di Erez, dopo il solito controllo dei documenti lungo ed estenuante, abbiamo percorso il tragitto obbligato, superato le porte metalliche che si aprono solo a comando, sotto l’occhio delle videocamere che filmano tutto il percorso, e infine raggiunto il tunnel che conduce al posto di controllo palestinese.

Abbiamo trascinato le nostre valigie per più di un chilometro, tanto dista la postazione palestinese, dove abbiamo mostrato i documenti e lì – con sorpresa di Ugo che è ‘solo’ al suo secondo viaggio in Palestina – un poliziotto saluta me, Giuditta, cordialmente … le mie visite agli amici palestinesi sono così frequenti che oramai mi considerano una “di loro”. Scambiamo qualche battuta, e già da quelle poche parole mi è chiaro che il ritiro da Gaza dei coloni non ha significato affatto ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza.

Non ci vuole molto per renderci conto che la popolazione palestinese continua a fare i conti quotidianamente con l’occupazione israeliana: distruzione sistematica delle principali vie di comunicazione con l’uso dei carri armati, occupazione di quattro chilometri di territorio a nord della Striscia, tra il posto di blocco di Erez e il campo profughi di Bayt Hanun. La presenza e il controllo “mare-terra-cielo” della forza occupante è quotidiano: aerei spia e bombardieri F16 volano spesso sulle nostre teste. Ad esempio, il giorno successivo, 23 gennaio, visitiamo il centro di Riabilitazione del PMRC (i Comitati di Soccorso medico palestinesi, la maggiore organizzazione medico-riabilitativa in Palestina e nostri referenti in loco. Sono loro i nostri gentili ospiti di tutti i viaggi nella Striscia di Gaza). Il centro è sufficientemente attrezzato, vi lavorano un medico e due assistenti che si prodigano a curare le conseguenze – spesso devastanti – di ferite o malattie. Sono proprio loro a raccontarci che il medesimo giorno del nostro arrivo un aereo israeliano ha effettuato un bombardamento “mirato” che ha causato un morto e sei feriti. Ci consigliano di non recarci in alcuni campi profughi per ragioni di sicurezza e mettono a disposizione per i nostri spostamenti mezzi di trasporto con le insegne della Mezzaluna Rossa che dovrebbero (ma non è scontato) assicurarci un minimo di tranquillità.

Nel campo profughi di Jabaliya, dove vivono 106.000 palestinesi, ci rechiamo in una casa poverissima ma dignitosa, per visitare il piccolo Ahmad e portargli lo zainetto dono della famiglia ‘affidataria’. Il babbo di Ahmad ci dice che il bambino è a scuola, prende lui lo zainetto e ci ringrazia per il regalo e per l’affetto e la solidarietà dimostrata al popolo palestinese e alla sua causa. Sempre nel campo di Jabaliya riusciamo anche ad incontrare Riham di 11 anni. La bambina è stata ferita nel 2002 ad una gamba e – nonostante siano passati quattro anni – risente ancora dei postumi della ferita. Tutta l’area in cui ci troviamo è molto mal messa, ma i genitori di Riham ci accolgono in compagnia degli altri sei figli nella loro casa, anche questa povera come la maggioranza del campo, ma perfettamente tenuta, offrendoci una tazza di tè caldo (un rito di accoglienza che si ripeterà frequentemente in quasi tutte le nostre visite seguenti). Abbiamo deciso che il sostegno economico dell’affidatario di Gazzella verrà consegnato alla famiglia successivamente perché il gesto, a ridosso delle elezioni politiche, potrebbe essere male interpretato.

Nei giorni successivi – sempre con i nostri amici del Medical Relief – organizziamo la visita al campo profughi di Bayt Lahiya, ai tre ragazzi che hanno perso entrambe le gambe nel raid israeliano del 4 gennaio 2005. Raggiungiamo una zona di campagna e veniamo accolti dalla famiglia di Ibrahim – uno dei tre ragazzi – in un’area scoperta e ospitale che si trova a ridosso dell’abitazione. Quale benvenuto ci offrono enormi fragole dolci di loro produzione. Ma rimaniamo pietrificati quando, avvisati del nostro arrivo, vengono a salutarci Issa e Imad, due giovani amici di Ibrahim: sono ambedue su carrozzine elettriche, donate loro dall’Autorità palestinese. Ai moncherini è stato possibile applicare delle protesi, che però non consentono una deambulazione. Sono lieti dei complimenti che facciamo loro e questo è il nostro modo di portare la solidarietà nostra e quella degli adottanti, che è cosa ancora più importante del sostegno economico.

All’interno della casa, in una piccola stanza c’è, adagiato in terra su un cuscino, Ibrahim di 14 anni. Diciamo adagiato perché, non avendo neanche i moncherini, il ragazzo poggia per terra solo il tronco del corpo. Ha un viso aperto e sereno, ci accoglie benevolmente ma non riesce a sorridere. I fratelli maggiori ci spiegano che Ibrahim fa poco movimento perché non è in grado di adoperare la carrozzina elettrica donata anche a lui dall’Anp mentre invece gli sarebbe utile una semplice sedia a rotelle che, oltre ad essere adoperabile perché più adatta alle sue condizioni fisiche, gli consentirebbe un salutare movimento delle braccia per spingere le ruote. Un ulteriore grave problema – ci spiegano – è rappresentato dal “bagno alla turca” non idoneo alla sua condizione fisica, come anche gli altri servizi igienici presenti nella casa. Ne esistono indicati per la sua menomazione e i fratelli di Ibrahim si dichiarano in grado di eseguire tutti i lavori murari e idraulici per l’impianto, ma non hanno il denaro per acquistare l’attrezzatura. E’ evidente sui loro visi l’amore che portano per lo sfortunato fratello. Così, su due piedi, decidiamo. Il giorno successivo a Gaza abbiamo acquistato sia il servizio igienico, che la sedia a rotelle.

La visita ai tre ragazzi uniti dalla stessa tragedia ci ha fatto percepire con quanta dignità stiano sopportando una violenza che ha totalmente cambiato la loro vita; io Giuditta, personalmente mi sento tanto legata a loro forse perché li ho visti in sala di rianimazione subito dopo le amputazioni, ho parlato con le loro famiglie che, anche in quei momenti terribili, non mi hanno mai negato una stretta di mano.

Le nostre visite nei campi profughi proseguono lungo i 40 km della Striscia di Gaza e, laddove non possiamo entrare per motivi di sicurezza, sono le famiglie stesse che vengono nei Centri del Medical Relief, che si trovano a margine di tutti i Campi, per incontrarci. Così vediamo Thaer ferito alle gambe e alla testa e che ancora continua ad avere problema a camminare, nonostante la terapia presso il centro di riabilitazione e che ha altri sette fratelli e sorelle. Il padre lavorava in Israele, ma il permesso gli è stato revocato .

A Bayt Hanun incontriamo Qader, una ragazzina di 13 anni ferita alla schiena nel 2002. E’ stata colpita appena sopra l’osso sacro e il proiettile ad esplosione le ha lacerato le parti interne causando danni tali che all’ospedale del Cairo non sono riusciti a risolverli. Ha già subito quattro interventi chirurgici e forse, grazie ad un progetto della Regione Veneto, sarà operata per la quinta volta in Italia per tentare il ripristino delle fasce muscolari dell’ano danneggiate dal proiettile.

Sempre a Bayt Hanun entriamo in una modestissima e linda abitazione dove, seduti in terra su un tappeto, vediamo tre bambini che stanno consumando il loro pasto prelevando il cibo con due dita da tre diverse ciotole contenenti ciascuna una pietanza diversa, com’è consuetudine di tutta la cucina araba. Al nostro arrivo soltanto due dei tre bambini alzano la testa e ci sorridono. La terza sorellina di circa 3 anni resta con il capo ostinatamente abbassato. I capelli che le cadono sul viso nascondono totalmente il suo viso. Sappiamo che è Nur: fu ferita da un proiettile che penetrò nella schiena e che fuoriuscì all’altezza dello stomaco. Ha subito già due interventi chirurgici, il prossimo anno ne farà un altro. Inutili sono stati i nostri tentativi di richiamare la sua attenzione e quando la madre l’ha sollevata da terra per mostrarci le grosse cicatrici che ha davanti e dietro il corpo, Nur ha urlato e si è divincolata con energia, per finire a riprendere la sua posizione in terra a testa china, muta. A Nur è stata rubata la serenità ed il sorriso. I danni alla psiche sono una conseguenza di quelli inflitti al fisico. Nur è una bambina bellissima e, ci dicono i genitori, molto intelligente.

I bambini che visitiamo sono segnati molto nel fisico, poiché le ferite causate dai proiettili non convenzionali, causano danni che veramente lasciano segni di invalidità permanente.

Cosi ‘e anche per Rabab di Rafah che non riesce a camminare correttamente perché i due interventi alle gambe non hanno risolto i danni dei proiettili. Anche per lei stiamo verificando la possibilità di un viaggio in Italia per un intervento definitivo.

Altre situazioni come quelle sopra descritte si sono ripetute tante altre volte. Ma ci sono stati anche momenti di allegria. Una caratteristica costante ogni volta che si entrava in un campo, era il nugolo di bambini che ci venivano incontro sorridenti, accoglienti e con gli occhi spalancati di meraviglia. Dapprima solo 5 o 6, poi 10 o 15, infine una trentina. Tutti quasi coetanei perché evidentemente si trovano per giocare assieme. Qualche piccolo con un altro più piccolo in braccio che sostiene con evidente sforzo. Non uno di loro ha mai teso la mano per chiedere soldi, come avviene invece nelle città. Quando vedono Ugo con la macchina fotografica in mano per ritrarli, urlano di gioia e avanzano. Ugo indietreggia sempre più per centrarli tutti nell’obiettivo fino a quando inciampa e va a gambe all’aria facendo spettacolo.

Il viaggio a Khan Yunis e’ stato meno difficoltoso del solito: dopo il ritiro dei coloni sono stati tolti i posti di blocco: in tre quarti d’ora abbiamo raggiunto il centro del Medical Relief. Ci aspettava Muhammad al quale abbiamo consegnato il regalo degli affidatari e una loro lettera. Il ragazzino, accompagnato dal padre, è timido, ma leggere la lettera della famiglia, scritta in arabo, gli ha strappato un sorriso.

Nura, un’altra bambina sostenuta dal nostro progetto, ci ha raccontato della difficoltà di ripresa della ferita all’addome.

Il giorno delle elezioni politiche in tutta la Palestina è stato un giorno di grande festa. Noi eravamo a Gaza. Bandiere verdi, gialle e rosse ovunque. Enorme la presenza e la partecipazione delle donne: erano in prima fila nei seggi come rappresentanti di lista, e comparivano numerosissime come candidate. Le militanti di Hamas erano accanto a quelle di al Fatah e del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina. Una presenza e una ‘visibilità’ femminile che varrà la pena di analizzare, la cifra dell’intenzione di esserci e valere in un momento cruciale di scelte politiche. E poi ancora intorno a noi tanti bambini, vocianti, allegri, anche quel giorno i veri protagonisti. Tutto si è svolto nella massima calma, non abbiamo assistito a nessuno scontro a fuoco tra gruppi diversi; per festeggiare si sparavano in aria colpi di mitraglietta – come abbiamo visto fare anche in occasione di matrimoni – per noi, una modalità inusuale, qui la norma…..

Due giorni dopo le elezioni abbiamo lasciato Gaza. Sulla via del ritorno, andando verso il posto di blocco dell’esercito israeliano, la vettura della Mezzaluna Rossa su cui viaggiamo è costretta a fermarsi perché gli israeliani hanno sventrato la strada con le ruspe (come fanno abitualmente, con puro sadismo), e questo ci costringe a intraprendere un lungo e tortuoso percorso ‘alternativo’.

Al posto di blocco di Erez abbiamo sperimentato di persona i ‘nuovi’sistemi di sicurezza israeliani: c’è una “piccola stanza a vetri ; dall’altoparlante una voce ti intima di deporre i bagagli e la giacca sul rullo che li fa passare al metal-detector; tu sei obbligato ad entrare nella “stanza”, poi la porta si richiude automaticamente alle tue spalle. La voce ti intima nuovamente di posizionare i piedi sulle impronte segnate sul pavimento e di alzare le braccia …a quel punto vieni irradiato non si sa di cosa e una tua foto a raggi X appare sul qualche monitor….dopo un paio di minuti si riapre automaticamente la porta e puoi uscire.

Dopo un giorno di sosta a Gerusalemme, partiamo per Nablus allo scopo di verificare la possibilità di operare con il progetto Gazzella anche in Cisgiordania e non solo nella Striscia di Gaza.

Per comprendere meglio cosa è oggi la Cisgiordania, e come sono costretti a vivere i suoi abitanti sotto occupazione militare, vi descriviamo brevemente il nostro viaggio.

Siamo partiti con un pullman, aggregandoci ad un folto gruppo di italiani che hanno svolto le loro funzioni di osservatori ufficiali alle votazioni in tutta la Palestina, ognuno provvisto della tessera regolamentare con foto identificativa al collo e di bracciale.

Prima di raggiungere la strada che attraversa la Cisgiordania troviamo un primo posto di blocco militare che verifica l’autorizzazione del pullman, e giovani soldati israeliani armati salgono sul mezzo per ispezionarci. La strada che poi percorriamo in territorio palestinese è vietata agli stessi palestinesi. Non corre dritta, come consentirebbe la natura del terreno, ma compie ampie tortuosità per essere più vicina ad ognuno dei 120 insediamenti di coloni israeliani. Gli insediamenti si trovano sempre in cima alle colline dominando il territorio circostante che i coloni hanno sottratto ai palestinesi con la violenza e con le armi, e consente loro di sparare con maggiore facilità a chiunque si trovi a passare sul ‘loro’ territorio.

Alle porte di Nablus incontriamo uno dei (in tutto sono dodici) posti di blocco militare che permette di entrare o uscire dalla città solo alle persone autorizzate dagli israeliani, ovviamente non riusciamo a capire quale sia il criterio per il rilascio delle autorizzazioni (ammesso che ce ne sia uno, oltre a quello di rendere la vita impossibile ai palestinesi). Ascoltiamo il racconto di persone che da anni non sono più potute uscire dalla loro città. Un esempio eclatante è quello dell’impiegato dell’albergo dove alloggiamo nella zona cristiana di Gerusalemme, (un ex, meraviglioso, monastero) che si trova all’interno del mercato. Parla correttamente l’inglese e ci accoglie con grande cordialità. Dalla sua viva voce apprendiamo che lavora cinque giorni della settimana lì e torna in famiglia a Nablus (distante 120 km.) da moglie e figli gli ultimi due giorni della settimana. Ebbene, pur godendo di un lavoro stabile da anni nell’albergo di Gerusalemme, gli è sempre stato rifiutato il permesso di lasciare Nablus, sicché tutte le settimane, all’andata e al ritorno, è costretto a superare il “muro” ed i controlli militari facendo un lungo giro per le colline, ovviamente al buio e sempre con il rischio di una fucilata.

A Nablus – cittadina splendida e con il Suk frequentato esclusivamente dai locali, non essendoci turisti di sorta, veniamo accolti da Gassan, il responsabile del Medical Relief in questa zona. Ci ritroviamo in casa sua e imbastiamo un cordiale colloquio per gettare le basi – se sarà possibile –di una futura operatività di Gazzella anche in Cisgiordania. Poi Gassan ci invita a pranzo in una macelleria. Si, proprio in un negozio di macelleria con tanto di capretti e pecore attaccati ai ganci, dai quali vengono tagliate fette di carne che finiscono, abilmente lavorate, infilate in lunghi spiedini e arrostiti sulla brace incandescente. Gli avventori mangiano con gusto nella parte posteriore del negozio sugli unici due tavolinetti esistenti. I lavoranti ci procurano delle sedie prendendole non si sa da dove…..

Il nostro viaggio sta per terminare. Sia in uscita da Nablus che in aeroporto a Tel Aviv siamo sottoposti ai ‘soliti’ controlli che durano ore e ore. Siamo stanchi, ma pieni di emozioni e intimamente soddisfatti dell’ operato di Gazzella: l’atteggiamento estremamente dignitoso e amichevole che ci hanno riservato le famiglie palestinesi, ci riconfermano che la modalità da noi scelta per la consegna del sostegno economico (mai denaro contante ma assegni tratti sul c/c della Bank of Palestine intestato a Gazzella, distribuiti da due nostri volontari senza intermediari) è quella giusta, così come ‘passa’ fra le famiglie dei nostri assistiti il messaggio di solidarietà e non di beneficenza. E della possibilità di operare in tal senso siamo grati a tutti i sostenitori di Gazzella: grazie a voi – mentre in volo l’Italia si fa sempre più vicina – abbiamo ancora negli occhi gli splendidi sorrisi dei ‘nostri’ bambini…..

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