XVII viaggio di Gazzella
RESOCONTO DEL VIAGGIO IN PALESTINA – 25 marzo-6 aprile 2007
Cari amici di Gazzella,
ecco il resoconto del nostro ultimo viaggio in Palestina.
Ugo ed io arriviamo a Gerusalemme il 26 marzo, all’una di mattina. Alle nove siamo già negli uffici del Medical Relief di Gerusalemme per rivedere gli elenchi dei bambini e fare il punto del bilancio finanziario. La giornata trascorre veloce, mentre il nostro pensiero va già al giorno successivo, quando andremo a Gaza.
Al nostro arrivo al posto di blocco di Erez, il giorno 27, troviamo una novità: in pochi mesi, esattamente dall’ottobre dello scorso anno, il check point è stato trasformato in un “international terminal”. Gli uffici sono stati ampliati e sul nostro passaporto viene apposto il timbro di entrata a Gaza, cosa che prima non avveniva. Non subiamo particolari controlli ai bagagli e ci mettiamo in cammino per circa due chilometri. Una parte del tunnel e’ stato rifatto ma sono stati mantenuti e rinnovati i cancelli di metallo che vengono aperti a distanza. Raggiungiamo il posto di controllo palestinese, superato senza difficoltà e perdita di tempo e poi con un taxi ci rechiamo gli uffici del Medical Relief. Qui i nostri amici ci informano che solo poche ore prima il villaggio beduino di Umm Al Nasser, nella municipalità di Beit Hanun, e’ stato invaso da una grande onda anomala fuoriuscita da un laghetto artificiale che ha invaso circa 100 case con sabbia e acqua stagnante e putrida. Il dispaccio locale dà notizia di 6 morti, 11 dispersi e 18 feriti; gli sfollati risultano essere circa 400.
Ugo ed io, assieme ad altri volontari, ci rechiamo sul posto e constatiamo che la situazione è veramente drammatica: case distrutte o inagibili, accumuli enormi di sabbia.
L’intera popolazione dell’area interessata si e’ spostata nel territorio adiacente, in attesa dei soccorsi. Abbiamo portato con noi dall’Italia una lettera da consegnare alla piccola Maliha Ali Musallam che vive nel villaggio beduino, ma non troviamo la bambina perché la casa e’ inagibile; consegniamo la lettera al padre che incontriamo nelle vicinanze delle casa mentre sta cercando di recuperare indumenti, materassi, coperte qualsiasi cosa si sia “salvata” al fango, acqua e sabbia.
Le attività frenetiche e solerti delle O.N.G. Palestinesi e Internazionali, della Croce Rossa Internazionale, dell’ONU e della Mezzaluna Rossa riusciranno a realizzare in sole 24 ore una tendopoli accessoriata su sabbia, con materassi e coperte, a fornire serbatoi d’acqua potabile, servizi igienici, corrente elettrica e a realizzare una postazione per la distribuzione dei pasti.
Il direttore locale del Medical Relief ci chiede un aiuto economico per fronteggiare l’immediata emergenza e anche per continuare l’attività assistenziale nei mesi successivi. Sentiti i membri del Consiglio di Gazzella, i soci ed i nostri sostenitori, si decide di intervenire con un versamento di 10.000 Euro per poter acquistare quanto sotto specificato:
- kit per l’ igiene
- kit medicinali
- attrezzatura mobile per analisi del sangue (screening per infezioni, patologie intestinali etc.)
- circa 50 materassi e coperte (ancora mancanti)
- latte e pannolini per bambini
- contributo economico, limitato, per le attività di 2 psicologi e 3 tecnici di laboratorio.
Per tutto ciò il Medical Relief ci fornirà adeguata documentazione.
In questa occasione incontriamo il dott. Juma dell’ospedale Shifa di Gaza al quale consegniamo del materiale sanitario che ci aveva richiesto e che grazie al contributo dei compagni della Federazione del Prc di Verona e di alcuni soci di Gazzella abbiamo potuto acquistare. La situazione sanitaria a Gaza è disastrosa, manca tutto e noi cerchiamo di fare quel che possiamo per aiutare questi medici coraggiosi. Gli consegniamo anche dell’altro materiale sanitario che e’ stato donato da alcuni ospedali italiani. Il dott. Juma ci ringrazia caldamente per l’amicizia e la disponibilità dimostrata.
Nei giorni successivi, accompagnati da Ilham, la nostra collaboratrice a Gaza, Ugo ed io ci rechiamo al campo profughi di Magazine Camp a fare visita a due ragazzi, Kaled e Sa’d, feriti nel mese di luglio 2006. Le ferite riportate hanno devastato i loro corpi mutilandoli e entrambi sono rimasti invalidi e impossibilitati a deambulare. Al campo profughi di Khan Yunis consegniamo la lettera al ragazzo Amad e visitiamo le famiglie di Ali, Khaled, e Nura. I ragazzi sono fuori casa. I familiari ci riferiscono che le loro condizioni di salute sono migliorate, ma constatiamo con i nostri occhi la situazione di estrema povertà e di indigenza in cui versano le famiglie.
A Beit Hanun visitiamo la piccola Basma che e’ stata ferita alla schiena e Muhammad che e’ stato ferito alla gamba: le famiglie e i bambini ci accolgono con affetto e sebbene anche loro siano estremamente poveri, non mancano di dimostrarci la loro ospitalità, come sempre in Palestina: ci invitano a sedere con loro e ci offrono caffè e bibite.
A Jabaliya Camp incontriamo Ahmad, gli diamo la lettera inviata dalla famiglia adottante, e poi andiamo a casa di Muhammad che però e’ a scuola; i familiari ci dicono che il bambino, ferito ad una gamba, ha problemi nel camminare.
Infine, non possiamo esimerci dal visitare i nostri ‘vecchi’ amici di Beit Lahiya: Imad, Issa e Ibrahim. Abbiamo conversato con loro facendoci promettere che si impegneranno in attività fisiche e di riabilitazione perché l’immobilità a cui sono costretti (hanno perso entrambe le gambe a causa di un attacco con i carri armati nel gennaio del 2005) li ha “appesantiti”. Ci siamo anche impegnati a verificare se sia possibile provvedere alla riabilitazione attraverso il sostegno economico di Gazzella: si pensava di affidare al centro di riabilitazione del Medical Relief di Jabaliya non solo l’attività di riabilitazione, ma anche prevedere il trasporto dei ragazzi da casa al centro e rientro.
Dopo cinque giorni si conclude la nostra permanenza a Gaza.
Lasciamo gli amici del Medical Relief in piena attività, sia sul fronte dell’emergenza nel campo beduino di Umm Al Nasser, devastato dall’onda anomala, sia impegnati con le attività del centro di riabilitazione del distretto sanitario di Jabaliya.
In quei giorni la situazione a Gaza ci è parsa di apparente calma, non abbiamo assistito a scontri tra diverse fazioni, tuttavia è sempre più evidente la stanchezza della popolazione che non riesce ad intravedere una rapida e duratura risoluzione, neppure dopo l’insediamento del nuovo governo di unità nazionale.
Il controllo in uscita da Gaza e’ stata una novità: nella nuova struttura ci viene chiesto di aprire i bagagli, la borsa, togliere la giacca e depositare il tutto in un apposito contenitore di plastica. Ci viene consegnato un numero adesivo di colore giallo, da tenere in evidenza attaccato sulla maglia, che corrisponde al numero che viene messo sul contenitore. Poi i bagagli partono su di un rullo per il controllo mentre noi attendiamo l’apertura della porta in metallo e l’ispezione, fatta in apposito box, con irradiazione di raggi di “natura sconosciuta”. Questa ‘operazione’ ci porta via più di mezz’ora e nel frattempo i bagagli sono……in viaggio. Quando riusciamo a superare i controlli e le porte metalliche, ci ritroviamo in una ampia stanza dove, sul rullo arrivano le valige. Sono aperte e vistosamente controllate. Sulla mia valigia trovo un foglietto scritto in lingua araba, ebraica e inglese che dice:
“Note relative all’ispezione del bagaglio. Per proteggere voi e i vostri accompagnatori, la sicurezza richiede di ispezionare i bagagli. Durante questa attività, alcuni bagagli vengono aperti e fisicamente ispezionati. Il tuo bagaglio e’ stato selezionato per questo controllo. Durante il controllo il tuo bagaglio e il suo contenuto è stato ispezionato, ma al completamento dell’operazione il contenuto e’ stato riposto nuovamente nelle valige.
E’ apprezzata la tua comprensione e cooperazione. La direzione del Terminal di Erez”.
In buona sostanza tutto ciò che era nella mia valigia e nella borsa è stato tolto, ispezionato e riposto senza che io potessi essere presente. Non ho comprensione né tanto meno mi sento di aver cooperato: ho solo subito una delle tante violazioni dei diritti alla persona.
Arriviamo a Gerusalemme abbastanza stanchi e già pensiamo ai prossimi giorni in Cisgiordania.
Dopo una giornata trascorsa interamente a Gerusalemme, in assoluto riposo, prepariamo il bagaglio e iniziamo l’avventura verso Nablus. Entrare nei territori occupati e’ sempre un’avventura: sai quando parti, ma non sai se arrivi a destinazione, e quando. Il viaggio da Gerusalemme a Nablus, con i cambi obbligatori dei mezzi di trasporto a Ramallah, si compie in un’ora e mezza. Al posto di blocco di Awara ci aspetta il direttore del Medical Relief di Nablus che ci accompagna a depositare i bagagli, e andiamo al campo profughi di Balata a visitare Ahmad. Gli consegniamo il regalo che la famiglia adottante ha inviato e una lettera con fotografie.
Il bambino è stato ferito alla testa e ne porta ben visibili i segni: sono rimasti offesi l’occhio, il braccio e la gamba destra. E’ un bambino socievole che si lascia fotografare e accarezzare. Il padre ci chiede se è possibile far visitare il bambino in un ospedale italiano da uno specialista in neurologia, poiché la sua disabilità dà segni di peggioramento. Ci facciamo volentieri carico di questa richiesta, pur sapendo delle enormi difficoltà da affrontare per riuscire a far venire il bambino in Italia per curarsi. Ci tratteniamo più di mezz’ora con la famiglia di Ahmad per poi andare a trovare Abdelfattah, di 18 anni, ferito alla schiena. Abbiamo un regalo per lui inviato dalla famiglia che lo sostiene. Durante la nostra prima visita, nei mesi scorsi, il ragazzo non aveva voluto farsi fotografare. Questa volta, forse perché ci ha visto tornare dopo soli quattro mesi, si e’ fatto fotografare. La sua e’ una famiglia molto povera, composta da sette persone e il padre lavora saltuariamente.
Nel pomeriggio visitiamo il distretto sanitario del villaggio di Sabastia gestito dal Medical Relief che dista circa 25 chilometri da Nablus. Stavolta il passaggio al posto di blocco è abbastanza veloce.
Il nostro soggiorno a Nablus si conclude con una visita al Sindaco della città che ci racconta delle difficoltà economiche, della totale mancanza di possibilità di sviluppo, del fatto che il governo israeliano sta costruendo il muro tutto attorno ai villaggi del distretto di Nablus, chiudendo ed isolando la popolazione. Nablus è una delle città della Cisgiordania continuamente sotto assedio e occupazione: le incursioni nei campi profughi, Balata soprattutto, sono quotidiane.
Il centro storico di Nablus, una volta splendido e dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è oggi quasi completamente distrutto!
Il giorno successivo, con il direttore del Medical Relief, ci rimettiamo in strada di nuovo verso Sabastia, poiché è lì che verremo raggiunti da volontari del Medical Relief per essere portati a Jenin.
Sono le dieci circa quando arriviamo al posto di blocco, consegniamo i passaporti, ma oggi, diversamente dal giorno prima, qualcosa e’ cambiato. I soldati di turno ci comunicano che oggi non si passa. Ugo ed io cerchiamo di spiegare loro che siamo passati il giorno prima e che abbiamo un appuntamento a Jenin e poi dobbiamo rientrare a Gerusalemme. Sono irremovibili, anzi ci ordinano di retrocedere con la macchina medica fino alla barriera di metallo, a circa 500 metri. Ordine da eseguire entro i successivi 3 minuti o aprono il fuoco.
A questo punto decido di chiamare il Consolato italiano. Spiego la situazione, e loro mi dicono di restare in attesa, che faranno una verifica con il comando israeliano.
Dopo circa venti minuti mi viene comunicato dal Consolato italiano che l’autorità israeliana permetterà solo a me ed Ugo di attraversare il posto di blocco; l’auto medica dovrà rientrare a Nablus. Comunico ai soldati l’informazione avuta dal Consolato, ma tale indicazione non corrisponde con gli ordini che hanno avuto: oggi non si passa.
Inizia un’estenuante discussione con il soldato, armato di tutto punto, che avrà circa vent’anni. Anche il direttore del Medical Relief cerca di interloquire, ma per lui non vi è alcuna possibilità di dialogo. E’ evidente il fastidio del soldato nel doversi confrontare con un palestinese, che osa avanzare delle richieste!
Solo dopo due ore circa di scambi di telefonate tra la centrale israeliana e il Consolato italiano i soldati ci comunicano che Ugo ed io possiamo passare.
Questa è la situazione: ci troviamo a circa 15 km da Sabastia, in una zona collinare, completamente disabitata. Non possiamo metterci in cammino, abbiamo anche il bagaglio, senza avere la certezza che qualcuno verrà a prenderci.
Il direttore del Medical Relief decide di chiamare l’ambulanza che è nel distretto sanitario di Sabastia, pur sapendo la difficoltà nello spostare un mezzo di soccorso. Restiamo quindi in attesa dell’ambulanza, seduti nell’auto medica e sempre a distanza dal posto di blocco come ordinato dai soldati.
Durante la nostra attesa arriva un’ambulanza della Croce Rossa diretta a Qalqiliya. Il direttore del Medical Relief chiede all’autista di caricare me e Ugo, la risposta è scontata: possiamo salire. Comunichiamo ai soldati che passiamo il posto di blocco con il mezzo della Croce Rossa e proprio mentre stiamo caricando i nostri bagagli vediamo arrivare l’ambulanza del Medical Relief proveniente da Sabastia.
Ugo ed io siamo contemporaneamente contenti e amareggiati: per prelevarci dal posto di blocco abbiamo dovuto far spostare un mezzo di soccorso da Sabastia che serve per le emergenze dei nove villaggi limitrofi.
Finalmente, verso le ore 13, arriviamo al distretto sanitario dove i medici ci accolgono con un grande sorriso, e scusandosi per quanto accaduto! Incredibile, sono loro a scusarsi!
Un pasto veloce e saliamo su un’auto medica con i volontari del Medical relief in direzione di Jenin dove le famiglie di alcuni bambini che dobbiamo visitare ci stanno aspettando.
Visitiamo:
Mugahed ferito 3 anni fa alla gamba sinistra; ha problemi a camminare.
Rawand, ferito nel 2006 mentre era a scuola. Vive in campagna, la famiglia molto povera. Ha sei fratelli.
Shadi di 13 anni ferito, nel 2004, alla spalla e al ventre. Ha dieci fratelli. E’ la prima visita ed è una nuova proposta di adozione.
Vorremmo proseguire con le visite, ma sono le cinque del pomeriggio e dobbiamo rientrare a Gerusalemme. I volontari del Medical Relief cercano un taxi che non sia collettivo ma solo per noi, poiché il rientro non sarà facile. Nei circa 120 chilometri. che ci dividono da Gerusalemme ci sono due check point e vari posti di blocco; se viaggiamo da soli i controlli potrebbero essere più veloci.
Salutiamo i nostri collaboratori del Medical Relief ed iniziamo il viaggio.
Siamo arrivati al check point di Qalandiya alle 21,00 circa avendo superato una decina di posti di blocco più velocemente dei palestinesi grazie al fatto di non…..essere palestinesi: abbiamo lasciato alle nostre spalle donne, uomini e bambini in attesa che i soldati finissero i controlli del service e dei bagagli e poi ancora lasciati in attesa senza alcuna ragione.
Pagato l’autista del taxi affrontiamo l’ultima fatica della giornata: attraversare il check point di Qalandiya. Uno per volta passiamo attraverso una porta in metallo e depositiamo giacca, borsa e bagaglio per il controllo. Ugo e’ dietro di me e nella confusione con altri palestinesi mettiamo le nostre cose sul rullo che scorre velocemente (solo il giorno dopo Ugo si accorgerà di aver dimenticato la cintura dei pantaloni al controllo, ma per fortuna indossava anche le bretelle!) Controllo del passaporto e fuori di corsa per prendere un posto sul primo service per Gerusalemme dove arriviamo dopo le 22. Siamo stanchissimi, andiamo a letto senza neanche la forza di mangiare un boccone.
Il giorno seguente andiamo a Hebron sempre con un mezzo di servizio del Medical Relief.
Visitiamo:
Amira che e’ stata ferita al piede sinistro. Necessita di un altro intervento. La bambina va a scuola.
Nisreen ferita al collo, e’ orfana di padre. Le consegniamo la lettera inviata dalla famiglia adottante.
Diaa’ che è stata ferita al viso. Le abbiamo comperato un vestito. Il padre ci dice che e’ brava a scuola, ma ancora gioca da sola e non riesce a stare con i suoi coetanei.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo a Betlemme a visitare AIDA Camp, uno dei campi profughi di Betlemme, che ha una direzione che segue le attività del campo. Nel campo profughi si organizzano queste attività anche con il supporto di volontari internazionali. Visitiamo un ragazzo di 12 anni, Miras, ferito lo scorso mese di ottobre allo stomaco. Ci viene chiesto di valutare l’eventuale adozione.
Visitiamo la famiglia di un altro ragazzo ferito, senza però incontrarlo.
E’ tardi quando rientriamo a Gerusalemme, ma contenti per essere riuscita a visitare i nostri bambini. Ora non resta che prenderci una giornata di riposo e prepararci per il rientro.
Venerdì 6 aprile siamo di partenza: salutiamo i nostri amici del “Latin Patriarcate” e ci dirigiamo a Tel Aviv. I controlli in uscita sono abbastanza veloci, solo Ugo dovrà aprire la sua valigia e con ….difficoltà richiuderla. Ma le nostre difficoltà sono ben poca cosa rispetto all’inferno quotidiano palestinese……
Speriamo di poter tornare presto…
Ugo e Giuditta