Relazione di viaggio a Gaza con il convoglio Corum maggio 2011
Relazione di viaggio a Gaza con il convoglio Co.R.Um (11-18 maggio 2011)
Questo convoglio, il Co.R.Um. (Convoglio Restiamo Umani, da una frase con cui Vittorio Arrigoni chiudeva tutti i suoi reportages da Gaza durante l’operazione “Piombo Fuso” dicembre 2008-Gennaio 2009), nasce da una serie di riunioni tenutesi a Roma e in altre città, immediatamente dopo il rapimento e l’omicidio di Vittorio Arrigoni, l’idea di un convoglio che provasse ad entrare a Gaza dal valico di Rafah.
Obiettivi del convoglio sono rompere l’assedio e l’isolamento di Gaza, commemorare Vittorio ad un mese dalla sua morte, dire forte ai palestinesi che il suo assassinio (ancora tutto da chiarire) non può fermare in nessun modo la solidarietà internazionale alla popolazione e, infine, quello di essere a fianco dei palestinesi nel giorno della Nakba, il 15 maggio.
Il convoglio è prevalentemente formato da attivisti italiani ma non mancano partecipanti da diverse parti del mondo (USA, Inghilterra, Germania, Francia, Polonia e Pakistan). L’appuntamento per tutti è per la sera dell’11 Maggio al Cairo, in un albergo con camere che affacciano sul grande zoo cittadino, nel centrale quartiere di Giza. L’atmosfera tra i 73 partecipanti al convoglio è serena: ci s’incontra,ci si conosce, qualcuno si rincontra, qualcuno si riconosce. Colpisce l’eterogeneità del gruppo: gruppi e gruppetti, singoli, associazioni, giovani dei centri sociali, studenti, lavoratori, attivisti di vecchia data e persone alla prima esperienza, pensionati e addirittura 2 splendidi tedeschi anziani(ma solo anagraficamente!) del gruppo “Ebrei tedeschi contro l’occupazione”,già sopravvissuti ai lager nazisti e oggi in prima fila per la libertà e l’indipendenza della Palestina.
Purtroppo la tensione e le preoccupazioni salgono notevolmente quando una nostra delegazione incontra l’addetto dell’ambasciata italiana in Egitto il quale ci avvisa che il nostro ingresso a Gaza non è per nulla scontato: il valico di Rafah è ancora chiuso, il Ministero Egiziano per gli Affari Palestinesi teme incidenti, diplomatici e non, e quanti nei giorni passati hanno provato a passare, sono stati respinti.
VERSO GAZA Il 12 Maggio,alle 6 del mattino,con solo un’ora di ritardo rispetto al timing previsto, il Co.R.Um parte. Sarà un viaggio lungo. Circa 600 km dividono Il Cairo da Rafah. Speranza ed emozione da una parte e paura di non entrare dall’altra si mescolano. Ogni chekpoint dell’esercito egiziano diventa un punto interrogativo: “ci faranno passare?” Alla fine saranno 6 i controlli passati. Nell’ultimo controllo (vicino ad El Arish, porto a 70 km da Rafah) aspettiamo 3 ore sotto il sole, nel deserto del Sinai, fraternizzando con i soldati dell’Egitto post Mubarak e, quando ormai siamo quasi rassegnati a dover fare inversione e tornare indietro, ci viene invece dato l’ok per proseguire. E’ in quel momento che, pur non osando nessuno dirlo per scaramanzia, capiamo che manca poco all’ingresso a Gaza. Già lungo tutto il percorso le bandiere palestinesi,esposte ai finestrini dei 2 pullman del convoglio, erano state salutate dalle donne e dagli uomini egiziani, anziani e
giovani, con 2 dita della mano alzate in segno di vittoria. Ma, arrivati al valico, sembra davvero che tutto l’Egitto sia con noi: civili e militari ci sorridono, ci fanno la V di vittoria e ci gridano ” END OCCUPATION, FREE PALESTINE”. Una mezz’ora per sbrigare le pratiche doganali e, alle 17:30 locali, SIAMO A GAZA!!
GAZA 12 MAGGIO L’emozione è grande. Per tanti di noi è la prima volta, per qualcuno è un ritorno e per altri ancora è un rimettere piede in Palestina nonostante il decreto di espulsione di Israele. Per tutti è comunque un momento importante e commovente. Il primo obiettivo è raggiunto: dopo anni di scellerato patto Egitto-Israele, un convoglio internazionale rompe l’assedio ed entra a Gaza. Nel lato palestinese del confine, ad attenderci c’è il signor Kahlil, del Palestinian Human Rights Center, ci sono attivisti palestinesi in festa e anche un non piccolo numero di poliziotti di Hamas in borghese, un po’ sorpresi, un po’ dubbiosi e un bel po’ preoccupati. Dopo un saluto di rito con le autorità, montiamo sui pullman e ci dirigiamo a Gaza City. Siamo tutti sfiniti. La stanchezza svanisce appena arrivati al Gallery Cafè, delizioso bar di Gaza City dove Vittorio Arrigoni passava spesso: lì centinaia di ragazze e ragazzi ci aspettano festanti. Sono i giovani dei movimenti per la riconciliazione; sono quei giovani che poi staranno per 5 giorni al nostro fianco, notte e giorno, sono i giovani del movimento 15 marzo (nato insieme ai movimenti dei giovani degli altri paesi arabi durante questa “primavera”), quelli del 5 Giugno (piu’ politicizzati e vicini al FPLP), quelli del GYBO (Gaza Youth for the Break Out). Sono quei giovani coraggiosissimi che quotidianamente combattono l’occupazione israeliana e contemporaneamente sfidano Hamas e le Autorità Palestinesi. Chiedono la fine dell’occupazione israeliana e chiedono libertà, democrazia, trasparenza e giustizia sociale in Palestina. Sono preparati, studiano, parlano inglese perfettamente e conoscono bene la tecnologia. Ci accolgono cantando “Bella Ciao” e “ONADEIKUM” la piu’ famosa canzone di lotta palestinese. Dopo un’ottima cena offerta da un ristoratore amico di Vittorio a tutti noi, andiamo a dormire in una palazzina, miracolosamente scampata ai bombardamenti di “piombo fuso”, affittata per noi. L’affaccio è sul mare, si vede il porto e, nonostante la miseria e la distruzione, la costa di Gaza sembrerebbe splendida. Peccato per quelle motovedette israeliane che, inesorabilmente navigano avanti e indietro davanti a noi aspettando di sparare contro ogni legge e diritto internazionale, contro chiunque si spinga piu’ al largo delle 3 miglia.
GAZA 13 MAGGIO Poche ore di sonno e siamo pronti. Cominciamo con una visita alle zone piu’ colpite durante “piombo fuso”. Non solo il palazzo del governo: scuole, ospedali, sedi di associazioni umanitarie, ONU, fabbriche agroalimentari e un numero infinito di residenze civili. Niente e nessuno è stato risparmiato in questa “operazione di polizia tesa a snidare i terroristi” e contro la quale in pochi nel mondo hanno
protestato. Visitiamo Al Samuni, quartiere che si chiama così in onore della famiglia Samuni massacrata nell’ultima guerra. 34 persone, in maggioranza donne e bambini, sono stati fatti radunare dagli israeliani in una casa con la scusa della sicurezza: questa casa è stata bombardata dai tank con tutti dentro! Attorno a questa comunità ora stanno nascendo tanti progetti. Le ragazze e i ragazzi erano orgogliosi di mostrarci la ludoteca e il parco giochi che hanno essi stessi costruito sulle macerie della casa.
Il pomeriggio lo passiamo al Gallery Cafè ad incontrarci con i palestinesi, a parlare di progetti e ad organizzare il media center che assieme a loro vogliamo mettere in piedi a Gaza. Il progetto decolla e giovani giornalisti, scrittori, poeti, fotografi e registi, donne e uomini, sembrano entusiasti.
GAZA 14 MAGGIO Appena svegli scendiamo al porto ad incontrare i pescatori. La loro storia è un’ulteriore esempio delle continue violazioni che Israele commette ai danni della Palestina. La costa, il porto, i pescherecci di Gaza sono stati devastati dalle bombe israeliane. Esperti stanno ancora studiando l’effetto del fosforo su fauna e flora marina a Gaza. Per trovare pesce buono ed in quantità bisogna recarsi ben oltre le 3 miglia marine dalla costa. Appena superato quel limite i pescatori Gazawhi vengono mitragliati dalle motovedette israeliane. Vittorio Arrigoni accompagnava i pescatori nella speranza che una presenza internazionale avrebbe fatto desistere la marina israeliana da questi comportamenti ed aveva messo in piedi il progetto della barca “oliva” per monitorare i soprusi e le violazioni dello stato israeliano. Con soldi e materiale il nostro convoglio ha contribuito allo sviluppo di questo progetto. Così come abbiamo, piu’ tardi nella mattinata, consegnato medicinali e materiale paramedico che ci era stato espressamente richiesto, durante la nostra visita agli ospedali di Shifa e Al Awda. Enorme è stata l’ammirazione di tutti verso medici, paramedici ed infermieri che, tra mille difficoltà, senza materiale e sotto embargo, resistono e lavorano da grandi professionisti, sia sotto le bombe che nei cosìddetti periodi di pace. Nella giornata abbiamo anche partecipato ad una grande manifestazione del mondo della cultura, degli artisti palestinesi in sostegno al ritrovato accordo tra Hamas e Fatah. Hanno ragione i ragazzi e le ragazze di Gaza: la pace e la libertà della Palestina passano anche da una riconciliazione tra le diverse fazioni interne. Su Nethanyau non avevamo dubbi, ma purtroppo sbaglia anche Obama nel condannare il ritrovato accordo tra le parti. I Gazawhi sono orgogliosi che da poche settimane le bandiere di Fatah assieme a quelle di Hamas e del Fronte Popolare di Liberazione, sventolino di nuovo insieme su tutte le case di Gaza. Nella giornata abbiamo anche visitato un centro sportivo nel campo profughi di Jabalyia con partitone di pallone tra convoglio e palestinesi finito 1 a 1 tra baci ed abbracci. Anche qui l’idea di portare avanti progetti legati allo sport giovanile è stata sviluppata molto seriamente. La sera una nostra delegazione di 20 persone ha partecipato ad un incontro col FPLP mentre il resto del convoglio continuava a tessere rapporti coi movimenti giovanili.
GAZA 15 MAGGIO E’ un po’ il giorno clou della nostra permanenza a Gaza: per tutti è il giorno della NAKBA, la “tragedia”,la “catastrofe” per i palestinesi,il 15 maggio di 63 anni prima nasce lo stato d’Israele e cominciano le deportazioni per la popolazione Palestinese ed inoltre è anche il trigesimo dell’omicidio di Vittorio Arrigoni. La giornata inizia infatti con la commemorazione di Vittorio al porto nel quale 3 anni fa era sbarcato per la prima volta a Gaza. A Gaza non c’è famiglia che non si ricorda di lui,di quello che ha fatto per Gaza. Non c’è famiglia che non lo consideri un figlio, un fratello, un palestinese. Buttiamo fiori, una bandiera palestinese e uno striscione “always Human” nelle acque del porto. Assieme ai palestinesi cantiamo ancora “bella ciao” e “onadikum”. La commozione è forte non solo per coloro, palestinesi o internazionali, che l’hanno conosciuto. Siamo tutti molto colpiti. Arriva una telefonata di Hamas che c’invita alle 12 ad un incontro conferenza stampa con loro, davanti a televisioni arabe e internazionali. Gentilmente decliniamo l’invito e ci dirigiamo, assieme a migliaia di palestinesi, verso il valico di Eretz, al confine con Israele, per la grande manifestazione della Nakba. Le ragazze e i ragazzi che stanno con noi definiscono la giornata come “storica”. Per loro è l’inizio di una “terza Intifada” che sottolineano “culturale e non violenta”. E’ infatti non violentemente che si avvicinano, assicuratisi che noi “internazionali” siamo fuori tiro, alle recinzioni che Israele ha costruito attorno alla loro vita ed è dalle torrette dietro a quelle recinzioni che gli infallibili cecchini di Tsahal cominciano a sparare. Alla fine, solo nella nostra area i morti saranno 2 e i feriti oltre 60 di cui almeno 10 in condizioni disperate. Documentiamo e filmiamo tutto: i viaggi nelle ambulanze, i ricoveri in ospedale, i giornalisti con la scritta PRESS feriti volutamente. Negli ospedali, incredibilmente, saranno i medici e i parenti dei morti e dei feriti a fare coraggio a noi. Ci chiedono di testimoniare e raccontare. La lunga e dura giornata finisce con una cena nel giardino del segretario del sindacato pescatori. Mentre mangiamo e osserviamo un tramonto fantastico sulle spiagge di Gaza ci racconta di essere anche presidente dell’Associazione Sport Nautici, associazione che non puo’ in nessun modo esercitare alcunchè causa embargo. Lì nasce l’idea di una scuola di vela e wind surf da mettere in piedi. Ci racconta del nonno, appassionato di vela negli anni 30 e 40, di come lui e i suoi allievi andavano a largo in cerca di zattere e battelli con ebrei in fuga da tutto il mediterraneo, scappando dalla furia nazista, per ospitarli e proteggerli nelle loro case. Ci racconta della delusione di aver poi visto quella stessa furia esercitata contro i palestinesi da parte d’Israele.
GAZA 16 MAGGIO Manca un giorno alla partenza, le cose da fare e da vedere sono ancora tante. Si decide di dividersi in gruppi. Un gruppo con i tanti strumenti musicali raccolti in Italia, va a gettare le basi, assieme a musicisti palestinesi, per la costruzione di una scuola di musica popolare. Altri vanno all’università dove si tiene un convegno sulle iniziative per rilanciare la campagna di boicottaggio (BDS, boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni) internazionale verso i prodotti israeliani. Un nutrito gruppo si reca alla “buffer zone”,quella zona che si trova nei pressi dei confini d’Israele, piu’ lontana dal mare e quindi piu’ fertile dove però i cecchini israeliani
non permettono agli agricoltori palestinesi di coltivare o, se glielo permettono, è per dare fuoco ai campi i giorni prima del raccolto. Qui Vittorio e altri attivisti avevano messo in piedi un sistema per accompagnare i contadini nei campi: se non altro, in presenza di internazionali, i soldati israeliani sparavano a pochi metri dai contadini invece che colpirli come è loro abitudine. Anche lì abbiamo lasciato materiale per documentare questa vergognosa violazione di qualsiasi diritto. Non si contano piu’ i contadini morti con l’unica colpa di aver lavorato la propria terra.
Alcuni di noi, accompagnati dalla preziosissima Elham, la donna che per “Gazzella” segue i progetti ed i bimbi feriti a Gaza, andiamo a conoscere meglio la struttura del Medical Relief e poi quella di Hanan. Tramite il Medical Relief siamo andati a conoscere 3 ragazzi colpiti dal fuoco israeliano. Ahmed (17 anni) il 5 gennaio 2009, in piena operazione “piombo fuso” era riuscito a ripararsi dalle bombe, accortosi però che il suo migliore amico era rimasto ferito è uscito per cercarlo (aveva 15 anni all’epoca), l’ha trovato e l’ha salvato, ma, mentre rientrava a casa è stato sorpreso da un altro bombardamento e colpito in pieno volto: ha perso totalmente la vista e l’olfatto oltre a parte dell’udito, ha la faccia completamente sfigurata e sogna di potersi fare una plastica “così le ragazze non lo prendono in giro”. Meesho (19 anni) è paralizzato, vive sulla sedia a rotelle, anche lui sorpreso da un bombardamento sulla sua scuola dove tanti suoi compagni sono morti. Ha avuto la fortuna di essere stato operato negli USA e spera di poterci tornare per proseguire le cure, è convinto “che lui e la Palestina torneranno a camminare e a correre”. Farah (4 anni) è sopravvissuta, con 2 fratellini e la nonna, ad un rastrellamento con tank e blindati dell’esercito occupante. Madre, padre e altri 5 fratelli di cui uno di neanche un mese sono stati invece assassinati. Farah presenta ustioni da fosforo bianco su tutto il corpo e nei prossimi anni avrà bisogno di cure e frequenti trapianti di pelle. Farah non ha parlato, è ancora sotto shock, ha però riso e scherzato. Per lei ha parlato la nonna chiedendoci, tornati in Italia, di “raccontare, raccontare e ancora raccontare”. Perché certi crimini non devono piu’ essere commessi.
Dopo queste 3 visite si è unito a noi il Dr. Maher in rappresentanza di Hanan, una associazione socio sanitaria che si occupa dei piu’ bisognosi soprattutto bambini nei campi profughi. Ci ha portato in una loro struttura in un campo profughi dove abbiamo visto decine di bambini seguiti da lui e “adottati” da Gazzella. Se non proprio tutti dirette vittime della violenza israeliana ci è però parso chiaro che nell’assedio, con l’embargo, con le bombe che di tanto in tanto ancora arrivano, con i cecchini, patologie che da noi possono essere facilmente diagnosticate e curate in quelle condizioni diventano malattie inguaribili e pericolose. TUTTE E TUTTI I BAMBINI che abbiamo incontrato, ci dice il Dr.Maher, avrebbero comunque bisogno di assistenza psicologica, anche quelli non colpiti da armi da fuoco. Le prime vittime della politica israeliana sono SEMPRE i bambini.
Queste visite, seppure dure e pesanti, hanno rafforzato in noi l’opinione che le attività come quella di “Gazzella” siano indispensabili nella striscia di Gaza. L’ultima sera siamo stati noi, al Gallery Cafè,ad offrire la cena a tutte e tutti i palestinesi incontrati nei giorni precedenti (abbiamo invitato anche i ragazzi e di Gazzella e le loro famiglie). Abbiamo continuato ad incontrare gente (i deportati della Chiesa della Natività di Betlemme, le donne dei centri anti violenza) e le ragazze e i ragazzi di Gaza ci hanno deliziato con un concerto Rap di altissimo livello (a chi ama il genere consiglio, su you tube, di cercare i DARG Team).
Stanchezza e commozione per quanto visto e ascoltato in questi giorni ci hanno accompagnato a letto per l’ultima notte gazawi.
GAZA 17 MAGGIO A quanto pare dobbiamo essere al confine con l’Egitto prima del previsto. Bisogna partire in mattinata. Il momento del saluto con i palestinesi lo ricorderemo a lungo. E’ tutto un abbracciarsi, scambiarsi magliette, numeri di telefono, indirizzi mail, facebook, twitter, skype e sembra che non ci sia chi non vuole almeno una foto con ognuno di noi. Persino la sicurezza di Hamas si lascia andare a saluti piu’ calorosi rompendo ogni protocollo. Sono stati 5 giorni ma è sembrata una vita oppure è sembrato un attimo. Senza eccezione siamo tutti commossi. Per tanti di noi era la prima volta in Palestina, per tutti non sarà l’ultima.
Andrea
NDA. Ho letto e riletto gli appunti presi in viaggio. Ho scritto e riscritto pezzi di questo brevissimo diario. Mi sembra sempre che manchi qualcosa, mi sembra scritto male, mi sembra che non possa rendere giustizia a quello che è stato un viaggio in carovana tra i piu’ intensi ed emozionanti della mia vita. Mi scuso per gli errori e mi scuso se qualche volta forse mi sono lasciato un po’ prendere dall’emozione. Grazie agli organizzatori del convoglio, grazie a Gazzella. Grazie al sacrificio di quanti si sono sempre battuti per la causa Palestinese e per la Pace in quella regione.
Vi invito a visitare il sito www.vik2gaza.org e appena sarà pronta la banca dati con foto e video di queste giornate vi farò sapere.