Rapporto del viaggio a Gaza ottobre 2012
Relazione del viaggio a Gaza per visitare i bambini adottati da Gazzella
(Ottobre 2012)
Sono tornata a Roma dopo 3 settimane in Palestina, di cui più di 2 a Gaza e qualche giorno a Gerusalemme.
Come al solito gli israeliani hanno fatto in modo di rendere difficile il viaggio in Palestina e a Gaza in particolare, cominciando già all’arrivo all’aeroporto a far domande sullo scopo della visita e a cercare di far cadere in contraddizione quando vengono a sapere che lo scopo del viaggio non è né la visita turistica di Israele né il pellegrinaggio in terra santa. Avevo deciso di partire il primo di ottobre ma l’entrata a Gaza da Erez era chiusa perché era una festa ebraica e quindi avevo rimandato la partenza al martedì 2 ottobre in cui l’entrata doveva essere possibile; invece per tutta la settimana l’entrata era possibile solo fino alle 13, sempre per la festività ebraica, ed io sono arrivata un’ora dopo. Pazienza, senza arrabbiarmi sono tornata a Gerusalemme, mi sono ripresentata a Erez il giorno dopo alle 8 e, dopo un interrogatorio neanche troppo approfondito sulle ragioni della mia missione, sono entrata attraverso il famoso tunnel lungo un chilometro costellato di porte di ferro e “docce” a raggi X sotto l’occhio vigile delle telecamere. Dal lato palestinese mi aspettava un altro interrogatorio ma molto più bonario da parte di una rappresentante del governo di Hamas. Una gentile ragazza ha aperto tutti i tubi che possedevo, dal dentifricio alla crema per le mani, e li ha odorati a uno a uno commentando positivamente. In realtà credo che ad Hamas interessi solo che non si portino bevande alcoliche nella striscia di Gaza. Mi ha fatto poi passare con un gran sorriso e augurandomi un felice soggiorno. Il tempo a Gaza era splendido, estivo ma con un bel venticello. In acqua si vedevano tutto il giorno ragazzi e bambini/e giocare allegramente. Il venerdì poi le spiagge erano affollate di famiglie numerose, spesso numerosissime e di gruppi di ragazzi o di ragazze; e, di molto meno numerosi gruppi misti. Si vedono anche ragazze e donne di tutte le età che fanno il bagno, per lo più madri che controllano i figli, con vestiti lunghi e neri. Mi chiedevano se a me non piaceva nuotare, e ho cercato di spiegar loro che il bagno così vestita proprio non mi invogliava perché sono abituata diversamente. E pensare che ancora 3-4 anni fa qui sulla spiaggia di Gaza ho fatto il bagno in costume, mentre adesso sembra che la cosa non sia mai stata possibile!
A Gaza si continua a costruire e in molte zone i palazzi sono quasi addossati uno all’altro. Continuo a non capire chi li compra perché gli appartamenti sono molto cari e la povertà è visibile e anche aumentata rispetto al mio ultimo soggiorno meno di un anno fa. Alla domanda fatta alla gente più diversa, la risposta è sempre la stessa: li comprano quelli di Hamas che sono gli unici che hanno soldi. Non so se sia vero, ma certo la risposta è indicativa di quello che i cittadini di Gaza pensano adesso di Hamas. Molte persone di età diversa mi hanno detto di aver votato per Hamas per cui mai più avrebbero votato. Come in ogni situazione di guerra c’è chi si arricchisce e qui sicuramente ci sono dei nuovi ricchi che non devono essere neanche tanto pochi perché ho trovato dal nord al sud tanti nuovi supermercati dove c’è abbondanza di tutto e i prodotti sono quasi tutti israeliani. Secondo le persone a cui ho chiesto le merci arrivano regolarmente da Israele attraverso i valichi commerciali. Forse una parte dei prodotti arriva anche dall’Egitto attraverso i tunnel, ed è anche così che gli speculatori si arricchiscono. Tutto quello che esce dai tunnel viene tassato direttamente da esattori del governo locale già all’uscita del tunnel stesso. Rimangono anche i tanti negozietti poveri con i soliti prodotti palestinesi sfusi o in contenitori dall’aria usata che i negozianti incartano nei giornali vecchi. Bello e buono è sempre il pane fresco e di tanti tipi venduto dai fornai che lo sfornano in continuazione e ne vendono enormi quantità. Meravigliosi e buonissimi, data la stagione, erano i fichi e l’uva venduti dai carretti tirati da asinelli che si trovano un po’ dappertutto e che hanno un sapore che mi ero quasi dimenticata.
La corrente elettrica è ancora erogata a turni alternati di 8 ore. La maggior parte dei palazzi e negozi, almeno nelle città, supplisce alla mancanza con rumorosissimi e puzzolenti generatori. Come al solito sono quindi i più poveri che non avendo il generatore soffrono maggiormente della situazione.
Nel periodo in cui sono stata a Gaza ho sentito più volte, più spesso di notte, botti e boati vicini o lontani e il giorno dopo scoprivo che erano stati uccisi dagli israeliani con mezzi vari dei “terroristi” in modo mirato e intelligente magari con qualche danno collaterale e cioè il ferimento o l’uccisione di qualche passante, magari di uno o più bambini, e/o qualche asilo lesionato o distrutto nel silenzio dei media italiani e della Unione Europea “premio Nobel per la Pace”. Per esempio in uno di questi lanci di bombe o di missili, è stato quasi completamente distrutto un asilo per bambini beduini costruito dalla ONG italiana “Vento di terra” con soldi della cooperazione italiana. Non mi risulta che l’Italia abbia protestato ufficialmente con il governo israeliano.
Lo scopo del viaggio era quello di andare a visitare i bambini feriti da armi da fuoco o handicappati o con qualche malattia grave adottati a distanza da Gazzella e portare alla mamma il contributo che aiuta loro e il resto della famiglia a vivere e a curarsi nella difficile situazione del paese. Non essendo possibile fare questo in maniera continuativa arrivando dall’Italia, lavoriamo con 3 associazioni locali che tengono i rapporti con le famiglie del bambino adottato e che quando un rappresentante di Gazzella riesce ad ottenere il permesso per entrare a Gaza, lo accompagnano e lo assistono. Purtroppo non è possibile ogni volta che andiamo poter visitare tutti i bambini che sono dispersi sul territorio in città e villaggi e soprattutto nei campi dove le condizioni di vita sono in genere le peggiori. Vorrei ricordare che gli 8 campi dove vive più di un terzo della popolazione, esistono dal 1948, sono gestiti dall’UNWRA, agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e sono stati istituiti per ospitare i profughi espulsi o fuggiti dai loro villaggi in seguito alla creazione dello stato di Israele. La striscia di Gaza è stata occupata fino al 1967 dall’Egitto, e poi da Israele che l’ha lasciata nel 2005. L’evacuazione degli israeliani, esercito e coloni, aveva fatto sperare in una vita migliore per gli abitanti della striscia. Gaza invece è diventata una prigione controllata dal mare, dal cielo e dalla terra dagli israeliani.
Quello che mi meraviglia sempre andando a Gaza è la vitalità degli abitanti in quella così dura situazione. Per le strade e nei mercati c’è sempre movimento. Città e villaggi pullulano di luoghi dove si mangia con pochi soldi. Dai falafel al pesce fritto. L’unico pesce che abbonda è quello pescato a riva e cioè gamberi e pescetti piccoli ma molto freschi e buoni, dove gli israeliani non vanno a terrorizzare i pescatori e a sequestrare, spesso anche per sempre, i motori delle barche o le barche stesse anche quando stanno pescando entro le 3 miglia dalla riva da loro unilateralmente permesso. I caffè, molti con terrazzi sul mare o in splendidi giardini, sono pieni di giovani che parlano animatamente e che usano il computer perché nei caffè c’è sempre sia la corrente elettrica che internet. Questo però è il quadro delle serate di Gaza city dove vive, credo, più di un terzo della popolazione della striscia. Le serate non sono altrettanto animate nei campi e non nelle cittadine piccole e nei villaggi.
Sono stata a visitare a casa molti dei ragazzini feriti soprattutto nell’operazione piombo fuso, mentre gli altri bambini e ragazzini feriti che non ho potuto vedere nelle loro case sono venuti negli uffici ed ambulatori distaccati della PMRS (Palestinian Medical Relief Society). Alcuni stanno ormai bene ed alcune/i stanno finendo la scuola o studiano con profitto all’università ed hanno solo qualche cicatrice in ricordo del ferimento. Alcuni la cui casa era stata distrutta quando sono stati feriti abitano nella casa ricostruita. Purtroppo però un numero molto maggiore di bambini e ragazzi ha un danno permanente a volte molto serio e vive in condizioni disagiate da parenti o in una casa di affitto perché la loro casa distrutta ancora non è stata ricostruita per mancanza di mezzi. Alcuni ragazzi privi di gambe non possono usare protesi per ragioni varie che spesso sarebbero risolvibili se si avessero più mezzi, altri hanno una sedia a rotelle a motore che però è rotta e difficile da aggiustare e altri ancora sono traumatizzati al punto che si rifiutano di andare a scuola oppure ci vanno ma con un profitto molto scarso o nullo. Anche per i ragazzi traumatizzati psicologicamente penso che ci potrebbe essere la possibilità di aiutarli, se ci fossero più disponibilità.
Sono andata anche a sud, a Khan Younis nella sede dell’associazione Emaar che gestisce il centro Basma che cura i bambini sordomuti dalla nascita. I 40 bambini adottati da Gazzella, accompagnati dalla mamma o dal papà, sono venuti quasi tutti al centro e mi hanno voluto far sentire i progressi nel parlare dopo che hanno avuto l’impianto cocleare dell’apparecchio che permette loro di sentire. Alcuni che hanno avuto l’impianto da poco ripetevano alla mamma o alla maestra parole semplici come “mamma” e “papà”, altri contavano fino a dieci e altri ancora facevano dei discorsi anche lunghi che io naturalmente non capivo, con un enorme sorriso di grande soddisfazione loro e ancora maggiore del genitore che li accompagnava. Penso che il lavoro che fa Emaar nel centro Basma con il nostro aiuto sia molto positivo.
Non ho invece fatto a tempo ad andare a trovare tutti i bambini handicappati seguiti dall’associazione Hanan che avevo però visitato lo scorso gennaio, ma ne ho visitati solo alcuni. La situazione di questi bambini è molto grave. Infatti per alcuni di questi bambini l’unica soluzione per aiutare loro e le famiglie sarebbe quella di poterli ricoverare in istituzioni adatte che però mancano, e per altri sarebbe quella di dare alle famiglie un aiuto maggiore per poterli portare regolarmente a fare la riabilitazione in luoghi che spesso sono lontani. La cosa migliore sarebbe poter organizzare un servizio di trasporto con accompagnatore.
Dei tre gruppi di ragazzi e bambini che ho visto ho scritto di ciascuno riportando le loro condizioni di salute e familiari, le notizie dei loro progressi a scuola e così via. Ne ho fotografati oltre un centinaio e ho spedito foto e lettere a Gazzella.
Ho incontrato rappresentanti di varie associazioni di donne. Queste associazioni fanno un lavoro estremamente utile anzi indispensabile perché nella situazione di Gaza le donne pagano per le difficoltà il prezzo più alto. Devono infatti occuparsi delle loro numerose famiglie in cui spesso il marito non lavora e in più devono far fronte a una situazione in cui la violenza di genere è aumentata sia per la situazione economica difficile e sia perché in sei anni di governo di un partito religioso il costume della vita delle donne si è modificato. Ho visto le donne di AISHA, associazione per la protezione di donne e bambini, che già avevo visto a gennaio e che mi hanno confermato l’ottima impressione che mi avevano fatto. Abbiamo discusso a lungo per cercare di scrivere un progetto e cercare finanziamenti. Il loro è un progetto contro la violenza di genere che pare sia un problema molto serio a Gaza. In particolare si stanno occupando di un problema specifico che è la violenza della società contro le giovani donne nel periodo che va dal fidanzamento al matrimonio. Infatti quando una coppia si fidanza, e in genere si tratta di fidanzamenti combinati dalle famiglie, il matrimonio viene combinato dopo un paio di incontri, in genere brevi e in presenza delle famiglie. Il periodo di fidanzamento può essere di poche settimane o di mesi ma anche di anni. Le ragazze molto spesso non sanno che firmando il contratto di fidanzamento sono impegnate a tutti gli effetti a sposarsi e se non lo fanno sono ufficialmente divorziate e avranno seri problemi poi a trovare un marito e sicuramente hanno la disapprovazione della famiglia e della comunità. Se per caso fanno sesso e la ragazza rimane incinta, il fidanzato può non riconoscere il figlio e accusare la fidanzata di avere una relazione con qualcun altro ecc. Pare succeda spesso quindi alle ragazze di dover sposare il fidanzato scelto dalla famiglia anche quando conoscendolo meglio non lo vorrebbero più.
Per concludere, la situazione a Gaza è molto difficile per gli abitanti e molto peggiorata economicamente anche per la crisi economica europea che, avendo tagliato drasticamente i soldi della cooperazione allo sviluppo, ha quasi azzerato i finanziamenti dei progetti in Palestina. Fra l’altro la partenza di molti dei cooperanti europei rende Gaza ancora più isolata. Le uniche ONG di Gaza che non hanno problemi economici sono quelle di matrice religiosa che ricevono soldi da paesi come la Malesia e da organizzazioni islamiche dei paesi arabi e in particolare dai Fratelli Musulmani. Ciò ha messo in crisi le ONG e le associazioni laiche e in maniera drammatica quelle di piccole dimensioni che facevano però un ottimo lavoro, e rende la popolazione di Gaza sempre più dipendente dalle associazioni di stampo religioso. Io credo che sia fondamentale che ci sia almeno una parte laica della popolazione giovane e combattiva. Questo sarà possibile solamente se, anche con il nostro aiuto, le associazioni laiche e non corrotte potranno sopravvivere.
S.