Relazione del viaggio di Gazzella a Gaza – Novembre 2014
Relazione viaggio in Palestina di due volontarie di Gazzella
Novembre 2014
Siamo partite martedì 18 novembre da Roma alla volta della Palestina con destinazione finale Gaza con la preoccupazione, anzi con il terrore di dover vedere con i nostri occhi quello che avevamo letto sui giornali e visto alla TV, e cioè le conseguenze di “Protective Edge, Margine Protettivo” così chiamata dagli israeliani l’aggressione a Gaza con bombardamenti dal cielo e cannoneggiamenti da terra e dal mare da loro effettuata per ben 50 giorni la scorsa estate a luglio e agosto, che ha causato oltre 2000 morti, più del 70% civili e oltre 11000 feriti di cui una notevole percentuale con danni permanenti.
La popolazione di Gaza è di circa 1.800.000 persone e di queste 500.000 hanno dovuto abbandonare le loro case perché più di 17.000 abitazioni sono state distrutte completamente o quasi e più di 37.000 sono state danneggiate seriamente tanto da essere inabitabili. Questi dati vengono dall’UNWRA, agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e da altre organizzazioni internazionali, e le riporto per dare l’idea delle proporzioni di morte e distruzione causate dall’operazione.
Scopo principale del nostro viaggio era, come nei precedenti, quello di andare a visitare i bambini adottati da “Gazzella” generalmente già traumatizzati da precedenti accadimenti, o perché feriti da armi israeliane o permanentemente handicappati spesso come indiretta conseguenza di azioni israeliane. Altra ragione del nostro viaggio era quella di chiudere una parte del progetto finanziato dall’8×1000 della chiesa valdese: “Per una vita senza violenza” proposto dalla WILPF sezione italiana della Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà in collaborazione a una associazione di donne di Gaza, Aisha, e progettarne la continuazione per un altro anno.
A Gaza il problema della violenza contro le donne in famiglia è un problema serio, e del resto è dimostrato che più una società subisce violenza e più diventa violenta essa stessa e la violenza è sempre diretta maggiormente contro la componente più debole della società, le donne e i bambini. Nel progetto, alle donne vittime di violenza viene insegnato un lavoro come cucito, ricamo, lavoro a maglia o a uncinetto, ceramica, video fotografia ecc. e vengono date delle basi di management e finanza. Alla fine del corso le donne vengono incoraggiate, aiutate e seguite nel progettare una attività in proprio anche con l’aiuto di un micro credito. Il primo anno i risultati del progetto sono stati buoni e siamo contente di continuare a collaborare con questa associazione di donne che si sono dimostrate serie, efficienti e intelligenti.
Arrivate la sera a Gerusalemme siamo state raggiunte da telefonate di parenti e amici preoccupati perché la TV riportava l’uccisione di 7 israeliani in una sinagoga e la successiva reazione israeliana compresa l’uccisione dei due attentatori palestinesi. Nella città vecchia dove ci trovavamo, nessuno sembrava però essersi accorto di niente. Ormai nella violenza in cui si vive in questa parte del mondo, non si risente di nulla che accada anche a una piccola distanza.
La mattina del 19 novembre, arrivate di buon ora al valico di Erez fra Israele e la Striscia di Gaza, siamo entrate con facilità e senza arrabbiature. Il controllo di permessi e passaporti viene fatto da giovani israeliani di leva, che a volte possono anche essere ragazzi gentili. La soldatessa che mi ha controllato mi ha perfino augurato buon lavoro e su mia richiesta non mi ha messo il timbro di Gaza sul passaporto cosa che evita controlli orrendi in partenza dall’aeroporto di Tel Aviv. Dopo la camminata che diventa sempre più lunga per raggiungere finalmente la Palestina e passati i controlli prima dell’Autorità Palestinese e poi di Hamas, abbiamo incontrato una giovane ragazza di Gaza a che lavora con le donne di Aisha che in taxi ci ha portato in città nell’ufficio dove con le nostre partner abbiamo cominciato a lavorare.
Il pomeriggio siamo andate a trovare il dott. Yasser Abu Jamea, direttore del Gaza Community Mental Health Program che ci ha fatto un quadro tremendo della condizione di disagio psicologico in cui versano circa 300.000 bambini anche non feriti fisicamente, a causa delle stress causato dalle bombe, dalle cannonate, dai morti e i feriti di parenti e amici, la distruzione di case e scuole.Fra l’altro le persone con cui abbiamo parlato e di cui ci fidiamo sono tutte molto preoccupate perché malgrado riunioni internazionali di donatori e chiacchiere varie, a Gaza non è ancora arrivato un soldo e tutti i programmi si trovano senza fondi in questo momento di grandissimo bisogno.
Abbiamo poi incontrato il direttore e due membri del direttivo del YMCA che volevano discutere con noi di possibili vie per ottenere finanziamenti che sarebbero indispensabili per aiutare chi ha perso tutto. La Comunità cristiana di Gaza è di sole 3.000 persone di religione greco ortodossa ma il loro centro è molto grande, ben organizzato e aperto a tutti. È frequentato da un gran numero di ragazze e ragazzi che fanno molte attività sportive e culturali e che si riuniscono nel tempo libero per stare in compagnia e sentire musica. Hamas non ha mai osato chiuderlo perché l’YMCA nel mondo è potente e sarebbe controproducente a livello di immagine.
Giovedì siamo state tutto il giorno a visitare bambini adottati nel nord della Striscia, a Beit Hanun, Beit Lahia, Shayaeia, dove pesanti sono stati i bombardamenti e i cannoneggiamenti dai carri armati e abbiamo avuto così la possibilità di vederne i risultati. In teoria sapevamo tutto, ma che fosse così tremendo non ce lo aspettavamo. Tanta distruzione non l’avevamo mai vista e neanche immaginata.
La situazione delle famiglie dei bambini adottati, a parte pochissimi casi, è veramente drammatica. Abbiamo visitato famiglie con 11 o 12 figli di cui più di uno handicappato e in cui il padre o non lavora affatto o fa ogni tanto qualche lavoretto. Fino a un po’ di tempo fa ogni bambino handicappato riceveva dal governo un assegno mensile, e con quello la famiglia sopravviveva, mentre adesso ogni famiglia non ne riceve più di uno.
I ragazzi molto bravi negli studi in un passato non remoto andavano tutti all’università mentre ora non è più possibile perché le tasse sono più alte e molte famiglie hanno meno soldi e allora dovendo scegliere, ci mandano per esempio solo i maschi (!). Bambini disabili le cui famiglie si potevano permettere terapie, corsi o scuole speciali ora stanno a casa e peggiorano o se va bene, non migliorano. Come ogni volta che andiamo a Gaza, ci rallegriamo nel vedere che veramente il piccolissimo aiuto di “Gazzella” migliora e a volte risolve casi gravi o addirittura di sopravvivenza ma pensiamo che dovremmo cercare di fare di più perché la situazione già grave è peggiorata e dei soldi promessi nella riunione dei donatori che si tenuta al Cairo in ottobre, non è arrivato ancora un euro. Molte famiglie vivono ancora nelle scuole o ammassate a casa di parenti, con grave danno per i bambini che si sono allontanati dalla loro scuola e dai loro amici e comunque in una situazione che se non si risolve presto crea grossi problemi e conflitti familiari come è avvenuto dopo l’operazione “piombo fuso” del 2008-2009.
Il venerdì, giorno di festa, siamo state a visitare il conservatorio di musica con il direttore, Ibrahim Al Najjar che ne è il creatore, direttore e animatore, aiutato dalla figlia pianista e insegnante di musica. La scuola e’ frequentata da 200 bambini dai 6 ai 12 anni, il pomeriggio. Abbiamo ammirato la collezione di strumenti antichi e ascoltato il nipote di Ibrahim suonare splendidamente il qanon, strumento orientale a corde. Abbiamo a lungo discusso della situazione del conservatorio di Gaza che avrebbe potenzialmente molte possibilità di svilupparsi ma che manca di insegnanti, di strumenti e di spazio. Sarebbe bello poter invitare un gruppo di musicisti specializzati in strumenti orientali, a fare qualche concerto in Italia per farsi conoscere e far conoscere quello che esiste nella musica a Gaza e ciò di cui avrebbe bisogno per crescere. Altri strumenti “orientali” oltre il qanoon, sono l’oud, il flauto arabo e vari tipi di mandolini, violini, tamburi e tamburelli. L’isolamento a cui è costretta Gaza certo non aiuta la cultura in generale e la musica in particolare. Infatti la musica avrebbe bisogno oltre che di mezzi e di insegnanti che si tengono aggiornati, di scambi, di ascolto di altri musicisti, di poter suonare insieme per crescere, di mandare gli studenti all’estero, di studiare con insegnanti con impostazioni diverse, tutte cose che agli studenti di Gaza anche con molto talento, non sono possibili. Potremmo forse cercare di invitare un quintetto di strumenti orientali, magari chiedendo aiuto oltre che alle istituzioni all’orchestra di piazza Vittorio che potrebbe essere interessata a collaborare.
Abbiamo visitato nei giorni seguenti altri bambini adottati di Gazzella e seguiti dall’associazione Hanan con cui collaboriamo ed abbiamo così visto altre famiglie con la casa distrutta o danneggiata, con parenti uccisi o feriti, con decine di parenti in più nella loro casa perché la loro è stata distrutta. In molte famiglie che non avevamo visitato di recente, il numero dei figli e’ aumentato.
Ha poi cominciato a piovere a dirotto giorno e notte mettendo in luce i disastri degli scoli, delle fogne, dei vetri mancanti in interi palazzi a causa dello spostamento d’aria causato dallo scoppio delle bombe.
L’uscita da Gaza e stata come il solito abbastanza traumatica per il modo in cui viene fatto il controllo del bagaglio chiaramente per intimidire e scoraggiare ad andare.
A Gerusalemme, sempre bellissima, la situazione è molto tesa. Vari israeliani che andavano tranquillamente nella città vecchia e a est nelle zone arabe non ci sono più andati da luglio, sia per rispetto perché pensano che sia giusto che gli arabi non siano contenti di vederli, sia forse anche per paura.
A Ramallah ho visto Fida Abu Hamdiyeh, la cuoca di Nablus che avevamo invitato a Roma come associazione “Cultura è Libertà” per preparare una cena palestinese e per discutere alla Casa Internazionale delle Donne del cibo come cultura. Lei adesso vive e lavora a Ramallah. Con lei abbiamo visitato la Said-Barenboim Foundation che ha una prestigiosa scuola di musica per ragazzini, completamente mantenuta dalla omonima fondazione di Berlino. Abbiamo parlato a lungo con il direttore e discusso della possibilità di fare qualche piccolo progetto, per organizzare scambi fra giovani musicisti italiani e palestinesi. Anche a Ramallah il problema, molto meno grave che a Gaza, è l’isolamento oltre che la mancanza di soldi.
Per fortuna i palestinesi sono veramente indistruttibili. A Gaza, non solo le macerie sono state tutte rimosse dalle strade, ma la gente non si dà per vinta ed è vitale, sta per strada, ride, discute e litiga. I bambini che vanno o escono da scuola sono allegri e tutti in ordine nelle loro uniformi. Certo che la situazione economica è molto brutta, la disoccupazione già altissima è aumentata e le condizioni di vita peggiorate. Per esempio, dalla fine dei bombardamenti al giorno in cui siamo arrivate noi il 19 novembre, l’erogazione di energia era di 6 ore al giorno, 6 ore su 24. Adesso è ritornata a turni alternati di 8 ore come era fino all’inizio di “Margine Protettivo”, che non è certo una meraviglia.
A conclusione di questo viaggio c’è l’impegno di mantenere e aumentare le attività a favore della Palestina non solo con progetti, ma anche esercitando una forte pressione sul governo per il suo riconoscimento come stato.
“Gazzella” spera che gli adottanti aumentino di numero e se possibile diano una mano partecipando con idee, consigli, aiuto e soldi.
Gazzella Onlus C.F. 97256870581
Per informazioni: Casella Postale 7240 00100 Agenzia Roma Nomentano
Tel-Fax: 0686326642 e mail: gazzellaonlus@libero.it
Buongiorno.
La Palestina dev’essere riconosciuta in quanto Stato, seppur molto ingiustamente amputato di varie zone di territorio. Credo anch’io si debba fare pressione in tal senso sul governo italiano.
Secondo me sono ormai diventati inutili i vari progetti della Cooperazione, il cui scopo è quello di lavare la coscienza a chi stanzia i fondi in una regione del mondo annientata dalla prepotenza e dalle barbarie israelo-occidentali che non hanno niente da invidiare a quelle che vediamo in Iraq, Siria, Somalia e Nigeria. Ogni volta si ricomincia daccapo. La sequenza è fatta di un breve periodo di costruzione( durante il quale Israele, l’America e l’Europa pubblicizzano la propria umanità) e di una lunghissima fase di distruzione della speranza e del futuro di tanti esseri umani, in cui c’è solo l’Onu che s’indigna impotente.
Vi ringrazio moltissimo per la vostra testimonianza, per la vostra competenza e per la vostra trasparenza, perchè sono affezionatissimo a questa parte del mondo.