Il racconto di due volontarie di Gazzella
Care amiche e cari amici,
finalmente i vostri e nostri bambini hanno ricevuto la visita di Gazzella assieme all’aiuto economico che ci avete inviato per loro e che per ben due volte non eravamo riusciti a portargli a causa dei blocchi israeliani.
Grazie alla tenacia, alla capacit e alla volontà di ferro di Agnese che i “vecchi adottanti” conoscono dalle cronache precedenti e all’aiuto di Letizia, una ventiseienne “recluta” di Carrara che si è dimostrata disponibile e infaticabile, sono state consegnate a domicilio (cioè nell’abitazione, non usiamo la parola “casa” perché molte volte risulterebbe impropria) 331 buste con il denaro, mentre due buste sono state lasciate al Palestinian Medical Relief perché le consegni a due bambini gravemente feriti segnalati all’ultimo momento. Totale: 333 buste consegnate ad altrettante famiglie (in concreto le nostre due volontarie hanno toccato 350 indirizzi si fa per dire, non essendoci nei campi né nomi di strade né numeri civici ma in diciassette di essi non erano rintracciabili i piccoli adottati perché le recenti offensive israeliane hanno provocato spostamenti di famiglie, distruzioni di abitazioni, ecc.).
Questo il resoconto un po’ burocratico del viaggio a Gaza: ciascuno di voi ricever successivamente ma dateci tempo almeno una ventina di giorni poiché il lavoro è tanto e ci sono di mezzo le vacanze le notizie del suo adottato e la foto.
Ed ora, come è tradizione di Gazzella, un po’ di cronaca del viaggio per rendere sempre più intensi i legami all’interno della nostra rete e per fare partecipi del viaggio anche gli adottanti (il nome è brutto, ma non sappiamo trovarne uno migliore: accogliamo i vostri suggerimenti) che sono rimasti in Italia, molti dei quali ci hanno commosso perchè, saputo che si stava realizzando il viaggio a Gaza, ci hanno ripetutamente telefonato per avere notizie, fare auguri, rammaricarsi con noi quando le cose andavano storte ( e come leggerete qui di seguito, di ostacoli e di insuccessi ce ne sono stati, nonostante l’esito pieno della missione). Una serie di difficoltà, non ultima la situazione tesissima nei Territori occupati, ci aveva costretto a fissare la data dell’andata a Gaza verso la fine di giugno. Finalmente eravamo riusciti a formare sulla carta un bel gruppo di sette persone (tutti adottanti o volontari), sufficientemente numerosa per il grande lavoro 350 bambini da incontrare nella Striscia di Gaza. All’ultimo momento però la nostra équipe si è inaspettatamente assottigliata, sicchè a Gaza sono arrivate solo Agnese e Letizia. Chi ha rinunziato, scoraggiato dall’incertezza della situazione troppo insicure le entrate in Israele e a Gaza -, chi per ragioni di salute un’operazione chirurgica, una storta a un ginocchio -, chi, infine, come Edoardo e Silvia, perchè respinti all’aeroporto Ben Gurion e trattenuti là in condizioni assai spiacevoli per dodici ore (si è chiarito poi che le autorità israeliane non avevano accertato tempestivamente l’autenticità delle nostre credenziali e ritenevano si trattasse di due manifestanti “terroristi” di Action for Peace). Perduti anche Edoardo e Silvia che così generosamente si erano prestati a dare una mano anche all’ultimo momento, abbiamo dovuto comunicare per telefono ad Agnese che nessuno sarebbe venuto a lavorare con lei e con Letizia. La risposta è stata calmissima e serena: “State tranquilli: io non mi muovo da qui finchè non sono andata da tutti i bambini della lista, fino all’ultimo di loro”.
E ha mantenuto la promessa, con l’aiuto di Letizia: per dieci lunghi giorni, nel caldo, nella polvere, fra uno sparo e l’altro, un posto di blocco e l’altro, da mattina a sera, famiglia per famiglia. Grazie a loro i vostri aiuti sono finalmente arrivati a destinazione.
Care amiche e cari amici, abbiamo voluto darvi per prime le buone notizie. Ora però una notizia tragica, che forse molti di voi già conoscono perchè l’abbiamo subito comunicata ai giornali, alcuni dei quali (Il Manifesto, Liberazione) l’hanno pubblicata con risalto.
Due nostriî e vostri bambini, già adottati rispettivamente da una amica di Roma e da una coppia di Monza sono stati uccisi. Si chiamavano Murad e Fadi. Il primo abitava a Rafah e aveva 14 anni ed era stato ferito gravemente alla testa a gennaio, era in coma. I medici speravano di salvarlo ed era stato perciò incluso nella lista che il Medical Relief ci aveva inviato nei primi mesi invernali e subito adottato: invece si è aggravato ed è morto. Fadi aveva 10 anni ed abitava nel campo profughi di Khan Younis; era stato ferito all’anca e ancora non era in grado di camminare. Nel frattempo però la casa dove abitava era stata rasa al suolo da un bulldozer israeliano e così la famiglia si era rifugiata in un’altra abitazione, sempre nel campo profughi. Una notte, colpita da un missile israeliano, la nuova casa ha preso fuoco (forse era poco più di una capanna di legno) e nel rogo sono morti i genitori e Fadi. Si è salvato un fratellino, ma nessuno sa come rintracciarlo.
Non facciamo nessun commento. I piccoli palestinesi uccisi dall’inizio della seconda Intifada, dicono le statistiche, sono 230, quelli israeliani 55. Sappiamo benissimo che Gazzella è solo una modestissima, piccola, artigianale rete di solidarietà, sappiamo che per far cessare questo terribile gorgo di morte (non solo di bambini, ma di donne, vecchi, giovani, di civili inermi) ci vogliono ben altre forze, altro potere che non il nostro.
Ma quando Agnese ci racconta l’accoglienza delle famiglie dei piccoli feriti, come siano contente di sentire da un’italiana parole di solidarietà e di pace (una pace giusta che rispetti indipendenza e libertà), come sia importante per loro sentire che in un altro Paese ci sono persone che capiscono e condividono la loro lotta, che cercano, anche solo con un modesto aiuto economico, di essere solidali con loro, di partecipare al loro dolore, allora siamo orgogliosi della nostra e specialmente della vostra attività e siamo certi che insieme stiamo facendo la cosa giusta.
Un saluto a tutti voi con la speranza che continuiate a dare una mano non solo proseguendo l’adozione, ma prendendo iniziative per diffondere la nostra rete.