appunti del viaggio a Gaza dell’aprile 2023
Ogni visita che Sancia ed io facciamo a Gaza è una corsa per riuscire a fare tutte le cose che vorremmo.
Da anni abbiamo dei progetti a Gaza sia come Gazzella con il Gaza Community Mental Health Programme per la creazione di ambulatori di psicoterapia nelle scuole pubbliche di Gaza sia con WILPF Italia per progetti di empowerment delle donne; e da quest’anno anche per la riabilitazione e la formazione di minorenni che hanno violato la legge, alcuni dei quali detenuti in carceri minorili. Tutti progetti sostenuti dall’8×1000 della chiesa valdese.
Ma sicuramente la parte più importante è la visita alle famiglie di bambini feriti nei vari bombardamenti di Gaza (negletti dai nostri media a meno che non siano macroscopici) o ultimamente anche durante le manifestazioni del “Venerdì del ritorno”.
È un modo non solo di valutare la crescita di questi ragazzini e queste ragazzine, la guarigione (non sempre lineare) non solo delle ferite, ma anche dello stress post-traumatico e vedere come queste famiglie povere, di anno in anno più numerose (a Gaza ci si sposa e si fanno figli…) cercano di migliorare la loro condizione di vita. È una lotta dove spesso la speranza è riposta proprio sui figli e figlie… la speranza di una loro futura possibilità di avere un lavoro e quindi di migliorare le condizioni di vita di tutta la famiglia. A Gaza, l’istruzione è importante ed è ancora vista come possibilità di miglioramento sociale!
È vero che tra queste famiglie a volte ne visitiamo alcune disastrate, incontriamo donne vedove o che si ingegnano a sopravvivere con i loro figli dopo il divorzio. Ci colpisce anche se nei vari bombardamenti o per malattie muore la madre (moglie) l’anno successivo troviamo, nella famiglia allargata una nuova moglie e un nuovo bambino/a. Questa è Gaza. Una società che lotta contro una povertà endemica, che però esprime una grande capacità di resilienza, di perseguire speranze, sopratutto tra le donne.
Questa volta in tre giorni fitti, abbiamo visitato le famiglie dei bambini affidati alla cura dell’Associazione AISHA, con la quale da anni abbiamo un rapporto di collaborazione e reciprocità. La loro scelta dei bambini da adottare è sempre stata oculata, tutti bambini/e di famiglie nel bisogno. Insieme ad AISHA troviamo il modo di inserire nuovi bambini quando i bambini adottati hanno raggiunto i 18 anni. Ci sono sempre un gran numero bambini feriti a Gaza che non riusciamo a far “adottare”. È un aiuto, che contribuisce all’economia delle famiglie, a far studiare i bambini e le bambine adottate. Questo è certo, ma qui ci vorrebbe lavoro, che oltre a tutto dà dignità, cosa quasi più importante in un paese dove risulta che il 49% degli uomini adulti è disoccupato ovvero sopravvive con lavori arrangiati all’interno di un’economia informale.
Le visite alle famiglie dei bambini adottati a distanza, se è importante per le relazioni di vicinanza che si riescono a costruire, serve anche per toccare con mano la complessa situazione di Gaza, misurarsi con la povertà diffusa che si accompagna ad altre condizioni privilegiate, come in qualsiasi altro paese del mondo, anzi forse è proprio qui come in altri paesi poveri, che queste differenze emergono in modo vistoso e violento.
E mi torna alla mente un’ultima immagine all’uscita di Gaza: una fila di uomini – fila di almeno 200 metri- anch’essi in attesa di uscire da Gaza per andare a lavorare in Israele. Il lavoro dà dignità oltre che soldi. Da un anno o poco più è possibile uscire da Gaza per andare a lavorare in Israele, sono uomini che così mantengono la famiglia. Si occupano nell’agricoltura (quasi tutta lavorata da palestinesi anche negli insediamenti israeliani nella Cisgiordania) e nell’edilizia. Si sono alzati prima dell’alba per raggiungere il confine e sono obbligati ad ore di fila per uscire..!!!
Mentre li guardo mi sale la rabbia (e anche parolacce) ma poi mi viene in mente il bel libro di Ibtisam Azem da poco tradotto anche in italiano “Il Libro della Scomparsa” (traduzione di Barbara Teresi- casa editrice indipendente torinese hopefulmonster) che inizia con un fatto: a mezzanotte di un giorno X, tutti i palestinesi di Israele, Cisgiordania e Gaza spariscono. Tutta la quotidianità israeliana entra in crisi: non ci sono i guidatori di autobus, infermieri, medici negli ospedali, non c’è chi semina, chi raccoglie, chi costruisce strade, ponti e case… Interessante immaginarlo. La mia rabbia silenziosa si trasforma in una domanda di futuro che per ora non sembra possibile. Intanto mi sento accanto a quei palestinesi in fila, ai bambini feriti, a chi a Gaza lotta ogni giorno per sopravvivere con dignità. E poco, ma è quanto riusciamo a fare oggi.
Sancia e Gianna
Si fa il pane in casa per la settimana