Haaretz. com

10.07.2009



Menù duro da inghiottire.”

di Hadas Ziv

direttore dei Medici per i Diritti Umani,Israele.


Tutte le volte che gli abitanti di Gaza si mettono a tavola per un pasto, affrontano una realtà deprimente. L’assortimento dei cibi loro disponibili è dettata quasi per intero da una dura politica imposta dal governo israeliano, il quale, come successo di recente, ha perfino rifiutato il permesso di attraversare il confine a cibo così innocuo quale zucche, pasta o fagioli.


L’obiettivo riposto dietro allo stretto controllo israeliano del regime dietetico della popolazione di Gaza non sta sicuramente migliorando la sua salute. Piuttosto, il governo sostiene che ammettendo a Gaza cibo di “lusso” avrebbe solo accresciuto la popolarità dei leader di Hamas, consentendo loro di dare da mangiare meglio al loro elettorato. Ma, agli occhi di molti osservatori, la politica israeliana di limitare i cibi che entrano nella Striscia è pressoché equivalente ad affamare, e diviene pericolosamente simile a una punizione collettiva, entrambe i casi non sono solo metodi illegali ed immorali da usarsi per ricercare la sicurezza di Israele, ma fanno pure poco per accrescere tale sicurezza.


La politica restrittiva di Israele incoraggia solo l’apertura di vie di accesso a Gaza non ufficiali – e potenzialmente più pericolose . Quando le derrate alimentari non possono entrare nella Striscia attraverso i canali ufficiali, esse vengono contrabbandate attraverso i canali controllati da Hamas e quindi arrivano principalmente ai compagni di Hamas o a quegli abitanti di Gaza che sono in grado di pagare i prezzi fissati dai contrabbandieri. I poveri sono lasciati alla mercè della fluttuazione di un mercato nel quale i rifornimenti sono tremendamente bassi ed i prezzi sempre in aumento. Tale situazione contraddice nettamente i migliori interessi di Israele e dei palestinesi che vogliono che le loro società siano aperte ed egualitarie. Difatti, quale interesse israeliano a lungo termine è utile nell’avere donne incinte e bambini affetti da anemia, che causa danni ben documentati allo sviluppo fetale e giovanile? Limitando loro l’accesso al ferro non accresce la sicurezza di Israele. Piuttosto, ciò costituisce una violazione grossolana dei nostri valori umani fondamentali e della moralità della società israeliana..


Gli esperti sono in grado di spiegare: Perché la raccomandazione del Ministro della Sanità per una dieta di un infante o di un piccolo bambino israeliano – “Frutta morbida quali banane ed avocado, pollo e manzo cotto, e cubetti di formaggio” – non viene messa in pratica per i bambini palestinesi? L’introduzione a Gaza di tutte queste merci particolari è strettamente proibita, mentre riso e una scelta limitata di carne e di prodotti rappresentano il solo cibo il cui accesso viene di fatto autorizzato.


Diversi mesi fa, ufficiali del ministero si rivolsero alle Nazioni Unite per consultarle sul loro piano dietetico relativo alla Striscia di Gaza. Gli ufficiali delle U.N.- come uno può indovinare – educatamente dissero loro di andare all’inferno, rifiutandosi di avere qualcosa a che fare con una tale politica. Gli israeliani si rivolsero allora a una dietista del Ministero della Salute, i consigli della quale potrebbero aver condotto all’attuale politica secondo cui, come hanno stabilito ufficiali israeliani, “stanno venendo soddisfatte le necessità minime per il sostentamento degli abitanti della Striscia di Gaza senza infliggere un disastro umanitario.”


La partecipazione di esperti sanitari nella compilazione del menù per i palestinesi di Gaza – se essi conoscevano quale politica i loro consigli avrebbero aiutato a determinare – rappresenta una grave violazione dell’etica sanitaria: E’ possibile che la dietista del Ministero abbia creduto che i suoi consigli avrebbero evitato l’inedia totale a Gaza, ma con l’essere coinvolta nella politica “dietetica” essa ha violato l’obbligo di operare nel migliore interesse dei suoi pazienti, cioè, dei palestinesi i cui alimenti lei stava prescrivendo. Dopo tutto, Gaza non sta soffrendo di un’improvvisa siccità o di una malnutrizione procurata come conseguenza di un disastro naturale. Stiamo parlando di una privazione voluta tramite “una dieta minimale” che può essere interrotta in ogni momento.

Nel 1845-1847, un parassita distrusse completamente le coltivazioni di patate in Irlanda. Anni di politiche economiche britanniche avevano creato là una situazione in cui le patate erano quasi l’unico cibo che veniva consumato dagli Irlandesi. Ed ancora, anche quando ne seguì una diffusa carestia, la Gran Bretagna limitò l’accesso agli aiuti umanitari. Per questa ragione gli Irlandesi dicono ancora che mentre fu un parassita a causare l’avvizzimento delle loro coltivazioni, di fatto fu la Gran Bretagna ad essere responsabile della fame. Nel caso di Gaza, si può dire che Israele ha inflitto entrambe: la distruzione e la riduzione alla fame degli abitanti della Striscia.


Tra i suoi stessi cittadini, il governo israeliano ha incoraggiato la cecità: sebbene noi si sappia che questa politica non servirà e non può favorire i nostri interessi, sebbene noi si sappia che questa non è la strada per portare a casa Gilat Shalit, noi insistiamo ancora ad imporla. Perché noi non vogliamo fare le difficili concessioni che lo porterebbero a casa.


Infine, tutto ciò si riduce a un semplice messaggio che fu ripetuto da taluni durante e dopo l’Operazione Piombo Fuso: Mentre Israele può avere il diritto di fare qualcosa, esso non ha affatto la luce verde per fare qualsiasi cosa. Dobbiamo chiederci seriamente se il menù per Gaza è davvero una misura necessaria per la sicurezza, che Israele ha il diritto di applicare, oppure se è una inutile politica di vendetta che può, a lungo andare, mettere a repentaglio la sicurezza dello stato e la moralità. Per me questa è una domanda retorica.


Hadas Ziv

direttore dei

Physicians for Human Rights, Israel


(traduzione: mariano mingarelli)