Il manifesto

01.04.2009

 

Intervista a Richard Falk, rappresentante dell’ONU espulso dalle autorità israeliane

 

«Un crimine terribile»
Il relatore dell'Onu: F-16, Apache e uranio impoverito contro la popolazione
. Così muore Gaza. Impossibile qualsiasi azione «umanitaria» finché durano l'assedio e l'occupazione. Ridicola la tesi dell'autodifesa: utilizzo della forza sproporzionato e sopraggiunto prima che ci fossero vittime israeliane. Espulso da Tel Aviv, il rappresentante dell'Onu si scaglia contro la propaganda sull'attacco alla Striscia


Il 15 dicembre scorso Richard Falk è stato espulso dall'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dove, per conto delle Nazioni Unite, era sbarcato per indagare sulle violazioni dei diritti umani nei Territori occupati. Falk, di origine ebraica, è Relatore speciale dell'Onu per i diritti umani nei Territori occupati, nonché professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University. Lo abbiamo raggiunto al telefono per chiedergli la sua opinione sulla situazione a Gaza.
Professor Falk, il ministro degli esteri israeliano, Tzipi Livni, ha dichiarato che «non c'è alcuna crisi umanitaria a Gaza».
Un'affermazione straordinaria, che prescinde completamente dalla realtà. Ma è ancora più sbalorditiva la prontezza dei media internazionali - quelli statunitensi in modo particolare - nel diffondere la propaganda israeliana. Anche prima dell'attacco iniziato il 27 dicembre la situazione di vecchi, donne e bambini residenti a Gaza rappresentava una grave crisi umanitaria, ben documentata da molti osservatori delle Nazioni Unite sul terreno e confermata da giornalisti israeliani indipendenti come Amira Hass. E bombardare quotidianamente una popolazione indifesa in un'area sovraffollata come quella della Striscia rappresenta un crimine.
Crede che il governo israeliano debba essere perseguito?
Certo, il diritto penale internazionale non dovrebbe perseguire solo gli sconfitti, come è avvenuto negli ultimi 15 anni. Ma Israele, come gli Stati Uniti, non è entrato a far parte della Corte penale internazionale. Le Nazioni Unite hanno il potere - che è stato utilizzato per creare i tribunali per i crimini nella Ex Jugoslavia e in Ruanda - per creare un tribunale ad hoc per giudicare presunti crimini di guerra israeliani, ma gli ostacoli politici che incontrerebbe un'iniziativa simile sono tali da farla ritenere impossibile.
Negli ultimi giorni si è parlato molto di «tregua umanitaria». Servirebbe?
Qualsiasi attenuazione dell'emergenza è benvenuta. Ma bisogna ricordare che, prima di questo attacco, gli effetti di 18 mesi di un assedio estremo che ha negato alla popolazione cibo, carburante e medicine hanno creato una situazione di sofferenze di massa e deterioramento della salute mentale e fisica dell'intera popolazione: circa il 46% dei bambini di Gaza soffre di anemia acuta. Si può considerare positivamente qualsiasi forma di cessazione dei bombardamenti, ma chiamarla «tregua umanitaria» vuol dire manipolare il significato delle parole: non c'è alcuna possibilità di un'azione «umanitaria» finché l'assedio non sarà tolto e la gente avrà accesso regolare a cibo, medicine e carburante.
Il governo israeliano però ripete: ci stiamo solo difendendo dal lancio di razzi palestinesi e ne abbiamo pieno diritto.
A livello teorico Israele ha diritto all'autodifesa, come ogni Stato sovrano. Se però esaminiamo concretamente ciò che sta accadendo in queste ore, non lo si può in alcun modo presentare come un'autodifesa, perché - in un anno - nessun israeliano è morto per i razzi lanciati dai palestinesi, prima che scattassero i bombardamenti israeliani. Le vittime israeliane (finora quattro, ndr) sono sopraggiunte dopo i raid scattati il 27 dicembre. Inoltre anche se accettassimo la tesi secondo la quale Israele sta agendo per proteggere i suoi cittadini, resta il fatto che questi bombardamenti massicci e continui su una popolazione indifesa costituiscono un uso talmente sproporzionato della forza, tale da configurarsi certamente come violazione del diritto internazionale. L'utilizzo di F-16 ed elicotteri Apache contro la popolazione priva di difese è incontestabile. Ci sono anche rapporti che parlano dell'utilizzo di uranio impoverito nelle bombe cosiddette «bunker buster», per distruggere i tunnel che collegano Gaza con l'Egitto. E bisogna ricordare che Hamas ha espresso più volte disponibilità a una tregua (che negli ultimi sei mesi aveva funzionato) di lungo termine, in cambio di un ritiro dell'assedio israeliano alla popolazione della Striscia. Una posizione assolutamente ragionevole, dal momento che l'embargo nei confronti di una popolazione sotto occupazione può essere considerato un atto di guerra.
Perché è stato respinto da Tel Aviv?
Non conosco i motivi esatti che hanno portato a questa decisione, che però va inquadrata in una serie d'iniziative che hanno costretto fuori da Gaza giornalisti, esperti di diritti umani, e che hanno impedito a intellettuali palestinesi di lasciare la striscia, in maniera particolare nelle ultime settimane. Una politica che mira a nascondere le condizioni a cui è sottoposta la popolazione palestinese.
La stampa israeliana ha ricondotto la decisione di espellerla al suo paragone della situazione dei palestinesi di Gaza con quella degli ebrei nell'Europa occupata dai nazisti.
Un mese prima di essere nominato dall'Onu Relatore speciale, ho scritto un articolo giornalistico in cui sostengo che le punizioni collettive subite dalla gente di Gaza ricordano quelle inflitte dai nazisti agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Non ho detto che sono la stessa cosa. Ma ritengo che la mentalità che ha prodotto queste politiche a Gaza sia paragonabile a quella che ha generato le esperienze terribili sperimentate dagli ebrei. Ho inoltre affermato che se queste politiche persistono, c'è il rischio di un «olocausto» per la gente di Gaza, che non è ovviamente la stessa cosa della «soluzione finale» che Hitler aveva previsto per gli ebrei. Ciò non toglie che per il popolo palestinese quello di Gaza rappresenti un olocausto di proporzioni gigantesche. E proprio le notizie delle ultime ore, i tiri d'artiglieria contro la Striscia e la possibilità concreta di un'invasione di terra suggeriscono che il mio commento non fosse un'esagerazione.
La situazione di Gaza rappresenta solo un problema umanitario?
No, oltre che di una crisi umanitaria si tratta di un problema politico molto complicato. Ci sono le divisioni tra i partiti palestinesi: la presa del potere da parte di Hamas che - come suggerisce Amira Hass - gli israeliani stanno utilizzando come giustificazione per mantenere l'occupazione in Cisgiordania ed espandere gl'insediamenti. In un certo senso una delle questioni più grosse è che Israele sta cercando di «pacificare» la Cisgiordania spostando l'attenzione sulla Striscia di Gaza.