Una
lettera ai miei compagni della coalizione mondiale del movimento anti-guerra
di Michel Warschawski
23 settembre 2004
Cari amici, durante l’ultima conferenza internazionale, è stato deciso che la prossima si terrà a Beirut in Libano. E’ evidente che nessun militante israeliano potrà essere presente a Beirut per questa conferenza, tuttavia io approvo molto sinceramente questa decisione.
E’ di capitale importanza che il movimento mondiale contro la guerra metta radici nel mondo arabo che è la linea del fronte dell’offensiva imperialista dove attualmente vi sono due battaglie: in Iraq e in Palestina.
La legge israeliana così come la legge siro-libanese rendono impossibile, ai miei compagni israeliani de “l’Alternative Information Center” (AIC), la partecipazione alla conferenza dei Beirut. Tuttavia è importante stabilire una differenza: se la decisione araba che concerne gli israeliani scaturisce dalla loro legittima battaglia contro la normalizzazione delle relazioni con Israele, la legge israeliana che impedisce ai suoi cittadini di viaggiare nei paesi arabi è basata su una politica deliberata che mira ad impedire qualsiasi cooperazione fra gli attivisti, più precisamente ogni tipo di cooperazione il cui obiettivo non miri alla “normalizzazione”, cioè a dare l’impressione di una falsa pace e di normalità, ma una cooperazione il cui obiettivo è quello di coordinare le nostre lotte contro le guerre imperialiste, il Sionismo colonialista e le occupazioni nella nostra regione.
In questa lettera, vorrei soffermarmi su questa guerra globale così come sul movimento anti-guerra e la centralità della questione palestinese.
Perché la Palestina è così importante per milioni di attivisti della società civile e politica? Perché in ogni manifestazione contro il neo-liberismo o contro la guerra, la bandiera palestinese è onnipresente, ben più che la bandiera irachena o altre bandiere? Sarà perché l’occupazione israeliana è la più barbara, la più micidiale? No, sfortunatamente, ci sono delle situazioni peggiori, come quella della Cecenia dove l’esercito russo attua un vero e proprio genocidio.
E’ perché il movimento nazionale palestinese è una fonte di ispirazione per i popoli del mondo? No, ci sono dei movimenti di liberazione nazionale più efficaci e più vicini alla vittoria del movimento palestinese.
Alcuni “amici di Israele” vanno gridando che la centralità del conflitto israelo-palestinese è la conferma dell’antisemitismo dei militanti anti-guerra ed anti-globalizzazione. Non posso condividere un’accusa così diffamatoria, sapendo come i nostri movimenti in Europa, in Africa, nelle Americhe o ancora in Asia sono stati sempre l’avanguardia delle lotte contro il razzismo compreso ben evidentemente l’antisemitismo, al contrario di questi “amici di Israele”.
A mio parere, la centralità della questione palestinese si spiega con il fatto che, più di ogni altro conflitto nel nostro pianeta, essa è il concentrato di ciò che è in gioco nella guerra globale lanciata dall’amministrazione Bush e i suoi alleati.
In realtà, la questione palestinese è stato il laboratorio di questa guerra. Tutti i metodi, tutti gli argomenti e le giustificazioni, tutte le immagini e tutte le tecniche sono state sperimentate in Palestina prima di essere applicate altrove nel mondo.
Guardando i “check points” in Iraq, è inevitabile constatare che sono la copia conforme dei “punti di controllo” in Palestina. Anche vedendo le terribili immagini delle torture nelle prigioni irachene, in gran parte sono dei vecchi metodi israeliani.
Il concetto di unilateralismo, la dichiarazione delle convenzioni di Ginevra e più in generale l’ordine politico creato dopo la seconda guerra mondiale non sono più pertinenti. Il quadro della nuova strategia di Bush è il nocciolo della politica israeliana degli ultimi dieci anni. Ancora, dopo il 2000 Israele conduce una guerra preventiva, globale e permanente contro i palestinesi che sono più che nemici perché sono percepiti come “una minaccia esistenziale”.
Ciò non vi ricorda nulla?
Alcuni si sforzano di spiegare la similitudine tra le strategia di Bush e quella di Sharon come il risultato di un “complotto ebraico” alle spalle del presidente statunitense, che lo manipola per mettere in atto politiche che servano gli interessi di Israele.
Ma esiste una spiegazione più semplice: in questi ultimi quindici anni un gruppo di politici statunitensi, israeliani ed europei, esperti, ufficiali in pensione e uomini d’affari hanno elaborato insieme una nuova visione del mondo, una nuova strategia globale dopo la caduta anticipata del blocco sovietico. Molti tra questi avevano delle relazioni con il “Likud israeliano”. Essi sono conosciuti con il nome di neo-conservatori e in numerosi centri di ricerca e circoli intellettuali ( think-tanks) hanno elaborato i concetti di “minaccia islamica”, “scontro di civiltà”, “guerra preventiva globale”. La loro ipotesi principali sono che l’ordine politico globale stabilito dopo la vittoria sul fascismo non è più pertinente, che la nuova minaccia non è più il comunismo, “la fine della storia”, ma il terrorismo islamico e che gli Stati Uniti hanno il diritto di proteggere il mondo contro questa minaccia, che Israele è al centro di questa nuova guerra mondiale e che l’unilateralismo statunitense deve sostituire il multilateralismo dell’Onu.
I neo-conservatori israeliani sono arrivati al potere con Netanyahu e la sua gang nel 1996, cinque anni prima del loro arrivo al potere a Washington: per questo si ha l’impressione che l’amministrazione statunitense copi i metodi israeliani. In una certa misura, la politica israeliana contro i palestinesi è una specie di laboratorio locale per la strategia dei neo-conservatori a livello globale.
Questa strategia è basata sulla ricolonizzazione del mondo, per esempio: imporre la dominazione degli Stati Uniti e dei suoi alleati attraverso collaborazionisti locali, realizzando un sistema d’apartheid mondiale.
Essa si è arenata in Palestina e si sta arenando in Iraq, grazie alla resistenza straordinaria dei popoli, anche di fronte a una potenza militare illimitata.
Questo è per definizione una strategia unilaterale che usa la guerra preventiva con l’obiettivo di neutralizzare le sfide future che sarebbero un ostacolo alla loro dominazione globale. In questo inizio del XXI secolo non ci sono più conflitti locali ma piuttosto delle battaglie locali di un’unica guerra neo-coloniale che vede fronteggiarsi da un lato l’imperialismo statunitense e i suoi alleati e dall’altro i popoli del pianeta che resistono contro i danni del capitalismo globali e della dominazione coloniale.
La seconda ragione della centralità della questione palestinese è che la linea del fronte di questa guerra globale, permanente e preventiva si situa sulla linea del fronte dove Israele sta costruendo il muro dell’apartheid.
Ad Est del Muro, a Qalqilyia e a Tulqarem comincia l’asse del male, gli stati canaglia; ad ovest del muro, a Kfar Saba e a Zur Yigal inizia la civiltà di Bush.
Israele è in prima linea nella battaglia della civiltà contro i barbari, la Palestina è la prima linea dell’esercito gigantesco dei popoli del mondo che si battono contro la civiltà di Mac Donald, Microsoft, Mitsubishi e Lagardère.
Il Muro non è solo il muro dell’apartheid tra israeliani e palestinesi, è un muro di apartheid universale che divide il mondo in due forze sociali globali, che conducono una lotta per la vita e per la morte a livello planetario.
L’esistenza di un enorme movimento altermondialista e anti-guerra nel seno stesso degli stati imperialisti è una sfida di grande rilevanza alla strategia dell’apartheid che tenta di portare il mondo verso lo “scontro di civiltà”.
Questo è anche il caso di Israele dove l’esistenza di un movimento anti-colonialista, modesto in quantità ma cruciale per la sua capacità di sfidare nelle sue attività quotidiane l’attuazione un sistema di apartheid di grandi dimensioni e la politica di guerra permanente, preventiva e coloniale contro il popolo palestinese.
Finché noi saremo pronti a combattere il colonialismo e l’occupazione, finché ci saranno dei soldati che rifiuteranno di servire in un esercito di occupazione e ci saranno uomini e donne che lotteranno per una vera coabitazione, “ta ayush” (il vivere insieme, ndt) tra arabi ed ebrei, le speranze per evitare ai popoli della regione una catastrofe aumenteranno.
Tratto dal sito dell’Association France-Palestine
Tradotto
da Cinzia Nachira