RESOCONTO DEL VIAGGIO A GAZA DEL 24 – 30 aprile 2005
A
distanza di tre mesi, dall’ultimo viaggio fatto, il posto di blocco di Erez è
divenuto un vero e proprio punto di frontiera: hanno costruito nuovi edifici
per i soldati, nuove torrette di controllo e il tunnel di circa un chilometro
che divide il territorio abitato da israeliano da quello dei palestinesi è
stato allungato di un altro chilometro.
Per
entrare nella striscia di Gaza si è costretti a passare attraverso percorsi
“obbligati” delimitati da barriere di metallo e da porte di ferro che si aprono
solo a comando. Videocamere filmano il percorso di circa un chilometro fino a
quando si raggiunge il vecchio tunnel che introduce nel territorio di Gaza.
Al
controllo palestinese troviamo tre poliziotti che registrano a penna l’entrata;
nulla a che vedere con i controlli agli uffici israeliani.
Al
centro del Medical Relief di Gaza siamo attesi dai responsabili. Insieme organizziamo
le visite ai bambini sostenuti dal progetto Gazzella. Non riusciamo ad
effettuare tutte le visite programmate, ma comunque andiamo nei campi profughi
di Jabaliya, Beit Hanun e Beit Lahia, dove vivono alcuni dei nostri bambini.
Al
campo profughi di Jabaliya visitiamo:
Hazem,
dieci anni, ferito alla gamba;
Diya,
otto anni, ferito alla spalla;
Ibrahim,
otto anni, ferito al braccio;
Qader,
dodici anni, ferita all’addome, in attesa di una quinta operazione;
Al
campo profughi di Beit Hanun visitiamo:
Nur,
due anni, ferita a dicembre del 2004 all’addome in attesa di una nuova
operazione (la bambina ancora non era stata inserita nel nostra programma, lo
sarà nel maggio 2005);
Al
Campo profughi di Beit Lahia visitiamo:
Mohamed,
sette anni, ferito alla gamba;
Thaer,
quindici anni, era già stato nel nostro programma per una ferita alla gamba che
lo ha costretto all’uso della stampella; e’ stato nuovamente ferito, alla
testa, il 4 gennaio scorso.
Insieme
a lui il 4 gennaio scorso sono stati feriti:
Imad,
sedici anni;
Ibrahim,
quattordici anni;
Issa,
quattordici anni.
Questi
tre ragazzi, che ancora non erano stati inseriti nel nostro programma, hanno
perso entrambe le gambe.
I
nostri spostamenti nei campi profughi non sono stati facili: spesso abbiamo
dovuto lasciare l’ambulanza, mezzo che utilizziamo per nostra sicurezza, e
raggiungere le case a piedi. Le strade distrutte da tanks e ruspe israeliane
fanno parte delle azioni di “disturbo” e servono a creare condizioni di
invivibilità quotidiana ai palestinesi.
Non
è stato possibile effettuare i viaggi programmati per Khan Yunis e Rafah, a
causa della chiusura del passaggio ai posti di blocco. Con questa chiusura ai
palestinesi è negata la possibilità di raggiungere i luoghi di lavoro, le
scuole, gli ospedali. Gli israeliani avevano chiuso il check point di Abu Holee
“per motivi di sicurezza”, per la presenza di coloni che manifestavano contro
il piano di ritiro dagli insediamenti della striscia di Gaza, previsto per il
prossimo agosto. Ricordiamo che i coloni che vivono nei 21 insediamenti sono
circa 8.000 e occupano il 42% del territorio della striscia di Gaza.
Lasciamo Gaza dopo cinque
giorni con la sensazione che una soluzione alla causa palestinese è ancora
lontana; la striscia di Gaza ha tutte le caratteristiche di una prigione a
cielo aperto dove il controllo su un territorio di 5 km per 40 km è capillare,
anche se non così “visibile” come in Cisgiordania.
Dopo
la visita e gli incontri con i nostri bambini e le loro famiglie, una
sensazione di impotenza ci assale: la vita trascorre all’interno dei campi
profughi in case fatiscenti senza acqua e servizi igienici; non ci sono cinema,
teatro, luoghi di ritrovo che non siano le strade sabbiose e polverose. Ma i
bambini sono veramente meravigliosi: ti cercano con il loro sorriso, ti
esprimono la loro gioia di incontrarti. E di tutto ciò non puoi fare a meno;
parti dalla Palestina e già pensi a quando tornare.
I
volontari di Gazzella