Il suo primo viaggio a Beirut lo fece in tassì, ma non era un viaggio di piacere. Marina Rossanda era andata a Damasco nel luglio  del 1982 e, per sentieri di montagna era arrivata, assieme al tassista damasceno vicino alla Beirut assediata dalle truppe israeliane del generale Sharon. Aveva attraversato le linee e nella città, sottoposta a un incessante bombardamento, aveva raggiunto l’ospedale Gaza e per tutta la durata dell’assedio aveva prestato la sua opera di medico anestesista. Così intendeva la solidarietà. Al ritorno da Beirut, aveva fatto sviluppare le fotografie scattate in sala operatoria e per le strade della Beirut dell’assedio e dei massacri. Le fotografie di quella umanità martoriata erano terrificanti. Le aveva scattate lei e quelle scene le aveva viste e vissute di persona, ma decise di non mostrarle, di non utilizzarle: erano davvero raccapriccianti. Era certo necessario denunciare i criminali, ma senza de-umanizzarli. Il coraggio che la spingeva a non retrocedere davanti alle situazioni estreme e di andare persino dentro il massacro, era fatto non solo di determinazione consapevole ma anche di innata delicatezza. Quella delicatezza che faceva sì che non dimenticasse, nel racconto di quanto aveva visto nella Palestina dell’intifada nell’inverno del 1987-88, di aver fotografato un uccello rarissimo che vive soltanto in quella parte del mondo, o di portare da un vivaio di Gerico, pianticelle di olivo da regalare all’amico palestinese. L’associazione medica italo-palestinese che Marina Rossanda aveva creato è stata di grande aiuto alle istituzioni sanitarie palestinesi e alle associazioni di medici volontari che nei territori occupati hanno gestito e gestiscono la sanità pubblica sotto occupazione. L’associazione medica pubblicò un giornale (Balsam) che forniva informazioni di prima mano sulle condizioni sanitarie nei territori occupati. Balsam uscì in forma cartacea fino al 1993 e continua oggi in forma elettronica (www. palestina-balsam.it). Costante e meticolosa, Marina aveva saputo tradurre in forme molteplici il suo impegno a fianco delle vittime dell’occupazione israeliana. L’ultima è quella rete di solidarietà che è oggi l’associazione Gazzella. Nel 2000, insieme a Marisa Musu, Marina Rossando era andata in Palestina. Durante quel viaggio, in un ospedale di Hebron aveva conosciuto Ghazala (Gazzella), una ragazzina di 14 anni, in coma perché ferita alla testa da due pallottole sparatele da coloni israeliani mentre tornava da scuola. Ghazala è stata subito “adottata”. Al ritorno in Italia, Marina e Marisa avevano cercato di estendere la rete di solidarietà ad altri bambini palestinesi feriti da armi da guerra. Nasceva così l’associazione Gazzella che oggi cura, con la formula dell’adozione a distanza, circa 300 bambini feriti. Fino alla fine, come sempre attenta e lucida, aveva seguito l’attività dell’associazione di cui era presidente. Ghazala è uscita dal coma ed è completamente guarita. Oggi è una bella ragazza di venti anni e in lei vive un po’ di Mimma. Come vive in tutti noi che l’abbiamo conosciuta e amata. Grazie Mimma.

 

Wasim Dahmash