Israele
- Palestina - Ramallah (Cisgiordania)
- 01.1.2008 |
Una
società di persone, non di individui |
Intervista
a Mustafa Barghouthi,
leader del movimento palestinese al-Mubadara |
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intervista a cura di
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La prima domanda è obbligata. Lei era ad Annapolis. Annapolis...
Perché non mi chiede di Gaza? E’ Gaza la domanda
obbligata. Parigi celebra i suoi donatori, ma noi non abbiamo bisogno
di carità, abbiamo bisogno di diritti e giustizia, frontiere aperte.
Gaza è un campo di concentramento, e Israele ancora infierisce con attacchi,
incursioni, invasioni. Negli ultimi sei mesi sono stati uccisi 5 israeliani
e 218 palestinesi, sono i soldati ormai, non i civili, le vittime accidentali,
sono loro gli effetti collaterali di questa guerra. Potrei darle infiniti
numeri, statistiche, dirle dell’acqua, la sete, le medicine, il gasolio,
morire perché manca la lampadina in sala operatoria, sopravvivere di aiuti umanitari, umiliarsi di elemosina internazionale,
e un collasso che è tutto ancora da venire, perché gli agricoltori non
hanno più niente da seminare, gli operai più niente da lavorare... E
Israele, intanto, che spara. Scelga lei, che inferno preferisce le
racconti? Tanto non la scalfirò. La cosa più devastante non è
il dramma, ma l’indifferenza. Lei è italiana come Gramsci... ‘Quello che avviene, non avviene perché alcuni vogliono
che avvenga, ma perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà,
lascia fare... E’ l’indifferenza la materia inerte della storia, la
palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più
salde’. Vivere significa essere partigiani. La storia un
giorno chiederà conto di Gaza. Chiederà a tutti voi - dove eravate
mentre Gaza spariva? E’ questa l’unica domanda obbligata. Dove
siete? Consumarsi di cancro respinti a un checkpoint...
E tutto questo perché? Perché ci sono state delle
elezioni democratiche. La risposta è stata il massacro collettivo. In occidente si scrive Hamas
e si legge terroristi. Bisogna dialogare? Bisogna sradicare? La pace si fa con chi c’è, non con chi si vorrebbe
che ci fosse. E comunque Hamas è monolitica solo nei vostri stereotipi, ha i suoi
moderati, i suoi pragmatici. E forse anche
i suoi estremisti. Ma bisogna organizzare i moderati, come nel governo
di unità nazionale - c’è un italiano, Alex
Langer... Ricorda? Nelle guerre bisogna
parteggiare, diceva, per i disertori. Il governo di
unità nazionale è stato il migliore dei governi palestinesi,
sia nei rapporti con Israele, cui ha offerto un cessate il fuoco reciproco
e totale, sia nelle riforme interne. E’ caduto non per nostra incapacità,
ma perché gli europei hanno tagliato gli aiuti economici e gli israeliani
hanno trattenuto le entrate fiscali. Con cosa dovevamo governare, con
le fiches? Minate tutto quello che non è Hamas
o Fatah, poi strillate che esistono solo Hamas e Fatah. Una delle ragioni del radicamento di Hamas è che fornisce servizi
sociali, qui che molti ancora non hanno acqua corrente. Lei ha fondato
Medical Relief, che oggi garantisce
assistenza sanitaria a un terzo dei palestinesi.
In un certo senso, è la sua politica dei ‘facts
on the ground’ - aiutare la gente a rimanere dove è, dice, perché se rimane,
Israele ha fallito. Hamas dilaga
perché a Oslo l’occidente ha deciso di concentrare
tutto il sostegno finanziario sull’Autorità Palestinese, falciando via
la società civile. A Deir Ghassaneh, qui vicino, duemila abitanti, un gruppo di donne
aveva aperto un asilo con un’associazione di Ginevra. Un piccolo appartamento,
cinquanta bambini. Poi da Ginevra hanno trasferito i fondi all’Autorità
Palestinese, e l’asilo ha chiuso. E’ rimasto quello islamico, gestito
ovviamente secondo il corano. Tutto quello di cui avevano
bisogno, a Deir Ghassaneh,
erano tremila dollari l’anno. La Palestina è questa. Sono questi i nostri
bisogni, queste le scelte lungimiranti - di dollaro in dollaro, bambino
in bambino. Invece si guarda un’unica dimensione della
sicurezza, quella militare. Ma la sicurezza
ha essenzialmente una dimensione sociale. Si ottiene rispondendo alle
esigenze della gente. Il fondamentalismo non
arriva solo dall’oppressione israeliana ma anche dall’Autorità Palestinese,
la sua inefficienza, il suo fallimento. Quando
si sostiene l’autocrazia, si sostiene anche il fondamentalismo
che reagisce all’autocrazia. Hamas è un prodotto
occidentale. Adesso assistiamo a un nuovo collasso
delle associazioni laiche. Ma l’occidente può
dormire sereno, Hamas ha altre fonti di finanziamento.
Ricorda quella poesia di Kavafis? L’occidente
avrà i suoi fondamentalisti, i suoi terroristi.
Come farebbe, d’altra parte, senza i barbari alle sue porte? Non odia gli ebrei, non ha mai ucciso nessuno...
Lei è strano. Lei è persino un musulmano laico.
All’università mi hanno insegnato che non esistono musulmani laici.
Edward Said diceva che la prima
sfida, per i palestinesi, era diventare visibili. Lei è invisibile due
volte: lei è un palestinese normale. Ed è proprio
con Said - che non trovava mai editori nei paesi arabi - che
ha fondato Mubadara. E con Haidar Abdel Shafi, capo delegazione
a Madrid - una delegazione tutta di professionisti e intellettuali,
mentre gli israeliani erano guidati da un primo ministro ricercato dagli
inglesi per l’assassinio del conte Bernadotte,
mediatore di pace delle Nazioni Unite... Sì, quello che direste
un terrorista. Ma poi Israele ha ottenuto una nuova delegazione, scelta
proprio per la disponibilità a accettare quanto
noi avevamo escluso da ogni possibile compromesso. E
ha ottenuto Oslo. I palestinesi sono stati traditi due volte, dagli
israeliani ma anche da altri stessi palestinesi. Mubadara
arriva da qui, una alternativa alla corruzione
di Fatah e all’estremismo di Hamas.
Ma più che fondare, abbiamo cercato di collegare, creare non un partito
quanto una coalizione. La politica per me non
è forza, volontà di dominio ma energia di legame, relazioni connessioni.
Il primo obiettivo è l’unità perché il primo obiettivo di
Israele è la nostra frantumazione e dispersione, non solo fisica,
attraverso muri e barriere ma politica, fino alla guerra civile. E
invece la nostra risposta è la non violenza, non perché non abbiamo
il diritto di reagire ma perché è la non violenza la migliore delle
reazioni. Consapevoli però che l’unico modo perché un accordo di pace
trovi seguito concreto e duraturo è avere rappresentanti rappresentativi,
che decidano insieme a chi deve poi vivere
le conseguenze delle loro decisioni. Per questo Mubadara
come movimento per la democrazia. E una democrazia
che non sia solo politica, ma sociale. Io non voglio una Palestina
qualsiasi, non voglio solo la pace ma la libertà e la giustizia insieme,
perché la Palestina è ferita da molte disuguaglianze, e non tutte derivano
dall’occupazione. La fine dell’occupazione sarà solo
l’inizio di un’altra storia. Voglio modernizzare la Palestina - cosa
che, per anticipare la domanda che le leggo
addosso, non significa affatto occidentalizzare. Ma
la democrazia è un’idea occidentale. Voi avete stati autoritari, una
società civile fragile, comunità e tradizioni che impediscono una piena
libertà individuale...
E poi l’islam. L’islam è politica e religione
insieme. D’accordo, il corano può essere interpretato in modo più o
meno liberale. Ma la democrazia riguarda la
gente, non i testi sacri. La democrazia è una multiforme combinazione
di princìpi universali, universali non nel
senso di essenze immutabili ma perché storicamente sviluppati dall’umanità
- e non da quello che voi chiamate umanità, e cioè l’illuminismo europeo,
ma una umanità più larga e vera forgiata dallo scalpello di secoli di
scambi e interazioni tra greci, romani, arabi. L’islam è stato all’avanguardia
nella liberazione degli schiavi - ma sono certo che nessuno glielo ha
mai detto, all’università. La storia è sempre solo
la storia dei vincitori. Separazione dei poteri, elezioni, accountability, stato di diritto... I princìpi
di fondo della democrazia sono uguali per tutti.
Invece di chiedersi cosa può esportare qui, perché non si chiede cosa
della nostra cultura può arricchire la sua esperienza di democrazia?
Non voglio vivere in un paese come gli Stati Uniti, in cui ognuno è
abbandonato a se stesso, in cui si organizzano mense invece che aggiungere
posti a tavola. Ma che libertà è la libertà individuale, che povertà è, la
libertà della solitudine? L’individuo si afferma differenziandosi
da altri individui, le persone diventano tali entrando in relazione
con altre persone, con la diversità... Riconoscendosi nella comune diversità.
Io voglio una società di persone, non di individui. Lei ha studiato a Stanford.
Molti palestinesi ormai considerano il carcere come la loro università.
Lei non vive in un refugee camp. Non rischia
ogni notte di ritrovarsi in una Sabra e Chatila.
La non violenza è un lusso? Ho due proiettili nella schiena, conosco lussi
più piacevoli. Mi hanno ferito sei volte, frantumato un ginocchio, dislocato
una spalla e arrestato che non ricordo più
il numero. Hanno ucciso uno dei miei collaboratori a
un millimetro da me, con un colpo alla testa. Sa come
esplode una testa? Ogni palestinese ha il suo privato rosario
di orrore e dolore. Essere non violenti non
significa essere meno eroici, ma più efficaci. Significa fare affidamento
su se stessi, ingegnarsi, sfidare gli israeliani nelle loro regole e
leggi, ogni giorno - opporre ai loro ‘facts on the ground’ i nostri
facts on the ground, alla loro
violenza non la nostra disperazione, ma la nostra bellezza. E’ insieme
etica e strategia. Organizzare azioni militari è semplice, organizzare
élites di combattenti invece che moltitudini di persone.
Ordinare di compiere un attacco mentre si rimane sicuri all’estero.
Dove erano i leader dell’Olp mentre noi eravamo
qui, mentre venivamo uccisi qui? Non ho mai
chiesto a nessuno di fare qualcosa a cui non abbia partecipato direttamente.
E’ il primo insegnamento di Ghandi. We must become the change we want to see in
the world. Il
nostro successo è nel nostro comportamento. Madrid, Oslo, Annapolis...
Lei è un cosmopolita. Mi manca Gerusalemme.(come tutti i residenti della
West Bank, Barghouthi,
parlamentare, non può entrare a Gerusalemme ndr). Annapolis è completamente
inutile. Si basa sulla Road Map. E la Road
Map è una cosa in cui si chiede per esempio
ai palestinesi di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si
dice, Israele non intraprenderà alcuna azione
che possa minare la fiducia tra le parti, come - le cito testualmente
- gli attacchi contro i civili. La fiducia tra le parti? Assassinare
civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di
guerra non una questione di cortesia. Semplicemente, si chiede ai palestinesi
di fare da guardiani dell’occupazione. Non si parla del muro, di Gaza,
di Gerusalemme dei rifugiati... Non si parla
che di sicurezza, con il risultato che nel nostro bilancio lo 0,1 percento
va alla cultura, il 4 percento all’agricoltura, l’8 percento alla sanità
e il 35 percento alla polizia. Vogliono militarizzare l’Autorità Palestinese
contro il suo stesso popolo. Negli anni Israele non ha che aumentato
le sue richieste, e noi ridotto le nostre. Abbiamo già firmato il nostro
compromesso, tutto quello che va oltre compromette il compromesso. Abbiamo
accettato il 22 percento della Palestina storica. Ma dopo Oslo, l’illusione
di due stati lungo i confini del 1967 si è rapidamente dissolta, i coloni
sono raddoppiati e non certo per un’espansione naturale, con una ragnatela
crescente di strade e barriere a collegare gli insediamenti e stravolgere
la nostra geografia politica e economica e
le nostre vite. I negoziati successivi si sono concentrati allora su
come ripartire la West Bank. Lo status dei Territori
è deciso non alle conferenze internazionali, ma ogni giorno con le ruspe
e il filo spinato. La prossima volta saremo qui a parlare di insediamenti palestinesi. Saremo noi i coloni di una West Bank israeliana. Dopo Nasser, sappiamo
solo del ‘Broader
Middle East’ degli Stati Uniti, ovvero, in
sintesi, il Medio Oriente come stazione di servizio dell’occidente.
Qual è la sua visione del mondo arabo? Il Medio Oriente ha oggi tre necessità. Primo,
autonomia politica ed economica, e l’unica strada è la democrazia, perché
quando i cittadini hanno la possibilità di partecipare non è più sufficiente
comprare ristrette élites dominanti. Secondo, cooperazione e integrazione, perché il mondo non
è più adatto a piccoli stati e intralci di frontiere. E
terzo, soprattutto, soddisfare le esigenze sociali basilari, investire
in istruzione e sanità. Ma in ogni caso
l’indipendenza palestinese non deve essere collegata alla liberazione
del mondo arabo. Vogliamo essere soggetti, non oggetti di cambiamento.
Il mio modello è il Sudafrica, una resistenza pacifica, unitaria, di
massa, con il sostegno internazionale. Qualsiasi solidarietà
è benvenuta, qui, non solo quella del mondo arabo. Noi europei sosteniamo di essere diversi.
Una potenza civile invece che militare, il Mediterraneo
- mare tra le terre, crocevia di civiltà - invece che l’Atlantico, l’oceano
degli spazi smisurati, del fondamentalismo
dei valori occidentali, dell’individualismo e del libero mercato. Dello
scontro di civiltà. Quanto è vera la nostra
diversità? Quale diversità? Avete solo una generosa, instancabile
eurodeputata palestinese, Luisa Morgantini.
Ma non avete mezza politica estera, ogni volta
paralizzati dalla necessità dell’unanimità. Una potenza civile... Adottate forse sanzioni contro Israele? No, comprate armi
da Israele. L’unico, incivile embargo lo avete deciso contro di noi.
La vostra politica qui è il processo di Barcellona, una retorica di
propositi nobili e suggestivi che è solo una
ennesima forma di colonialismo e ortopedia neoliberista. Dialogo, partenariato,
co-sviluppo...
Siete dei poeti. Più semplicemente, condizionate
la vostra cooperazione al coinvolgimento di Israele,
convinti che l’economia comprerà anche la politica, che dimenticheremo
l’occupazione in nome del libero scambio delle zucchine. La pace non
è in vendita. Siete solo complementari agli Stati Uniti. A
loro la politica, a voi l’economia. Eppure
non sa quanto avremmo bisogno di un'Europa europea. Di
un'Europa mediterranea che conosca, come dice lei, la misura.
Che esprima un’altra idea di mondializzazione. Mondializzazione...
Ma qui intanto si combatte una guerra per la terra, una guerra d’altri
tempi. Un rapporto con Israele sarà comunque
inevitabile. Già ora siete interconnessi, gli stessi tubi per la stessa
acqua. Diciamo di volere due stati, ci offrono ghetti
e prigioni. Diciamo allora che è meglio uno stato binazionale,
ci accusano di mirare alla demografia invece che alla democrazia, di
minare l’ebraicità di Israele.
Uno stato, due stati - non importa. Preferisco due stati, ma in primo
luogo preferisco vivere, non sopravvivere. Vivere, libero e sovrano.
Vivere uguale a tutti gli altri. Uguaglianza tra due stati, uguaglianza
all’interno di uno stato non importa, importa
che finisca l’apartheid. Perché questa non è più semplice occupazione. E’ apartheid.
Ed è un crimine contro l’umanità, l’apartheid. Secondo Israele, il Muro ha fermato gli attacchi
suicidi. Sono dunque i buoni steccati a fare i buoni vicini? Gli attacchi suicidi non sono stati fermati
dal Muro, ma dai palestinesi che hanno capito che erano inutili. Israele
ha il maggiore arsenale di armi di distruzione
di massa del Medio Oriente, nucleare incluso, il rapporto degli uccisi
è 48 a 1. Siamo noi ad avere bisogno di sicurezza, non loro. L’ossessione
per la sicurezza ha trasformato Israele - non solo la Palestina - in
una prigione. Ma la nostra sicurezza è mutualmente
interdipendente, non mutualmente esclusiva,
come intrecciate sono le nostre paure e le nostre sofferenze e gli incubi
dei nostri figli. Un conflitto non è solo opposizione, ma anche interessi
comuni. Una strategia non riguarda tanto la ripartizione di vantaggi
e perdite tra avversari, quanto la possibilità che certe decisioni invece
che altre siano peggiori o migliori per tutti. Qualunque altra cosa
possa inventarsi, Israele rimane una goccia di diversità
nel mare arabo. Solo attraverso noi può essere
accettato come un normale vicino. Non è questione di costruirlo o meno lungo la Linea Verde, il Muro non è che uno strumento
per l’apartheid, non va spostato, ma come dice la Corte Internazionale,
abbattuto. Gli israeliani possono dare fondo alla loro immaginazione.
Insediamenti, strade, muri. Ma noi siamo qui.
Siamo noi i primi 'facts on the ground'
di questa terra. |