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Israele - Palestina - Ramallah (Cisgiordania) - 01.1.2008

Una società di persone, non di individui

Intervista a Mustafa Barghouthi, leader del movimento palestinese al-Mubadara

 

 

intervista a cura di
Francesca Borri

 

Anni di Cnn, ma è la domanda più ingenua ad arrivargli addosso contromano - perché cosa pensa degli israeliani? Mi aspetto romantica una parola leggera di comprensione, e pace e futuro da quest’uomo che chiamano il Mandela del Medio Oriente, ottengo uno sguardo che si incrina, distanze improvvise che si spalancano in dismisure. Niente, dice, non penso niente, il silenzio puntellato dal muezzin ed è la prima volta che gli sento nella voce come la risacca della guerra, la profondità delle ferite. Sembra la domanda più strana, quella più necessaria - il suo nemico, il suo vicino. “Ero a una manifestazione un giorno, sa, una di quelle noi contro i soldati, naso a naso a contenderci ogni centimetro di terra. A un certo punto un’israeliana viene colpita. Io sono l’unico medico. E naturalmente la soccorro, i soldati che mi passano gli attrezzi io che li guido, fasciate qui, disinfettate lì. Poi un’ambulanza la porta via, e torno dalla mia parte. I soldati dalla loro. E di nuovo, uno contro l’altro, centimetro a centimetro”. Mi guarda difficile, senza sconti. “Odio le ingiustizie, non le persone. Quello che uno fa e non fa. Non le persone, ma il contesto. Le responsabilità”.

Mustafa Barghouthi è un uomo così. Colto e gentile e dalla luce chiara, letture larghe e discorsi trasparenti, toni bassi, nessun cedimento alla retorica, ogni idea asciugata all’essenziale come il nome del movimento che guida, al-Mubadara, che in arabo significa semplicemente l’Iniziativa. Ma sono parole brevi per pensieri lunghi, il nome arriva in realtà da Hannah Arendt, la politica, diceva, richiede spirito di iniziativa e insieme una dote quasi poetica, l’immaginazione - e allora capisci che quest’uomo è molto più di quello che sembra, con il suo tentativo di un’alternativa, di una via terza tra autocrazie arabe e fondamentalismi islamici, e mentre tutti ti chiedono Ma Barghouthi chi? Marwan?, che ti seduce ovunque dai muri di Ramallah con le mani ammanettate al cielo e l’aria di sfida, ti viene in mente Musil e il suo uomo senza qualità, quello che tutti credevano fragilmente inadatto ai tempi, e come disincronico al mondo e che invece, in un secolo che deragliava verso i totalitarismi, si sarebbe rivelato l’uomo capace di pensare, di essere in autonomia, senza mai agire in modo meccanico e convenzionale, sostantivo prima che aggettivo. Senza mai adeguarsi ai tempi.

 

mustafa barghoutiLa prima domanda è obbligata. Lei era ad Annapolis.

Annapolis... Perché non mi chiede di Gaza? E’ Gaza la domanda obbligata. Parigi celebra i suoi donatori, ma noi non abbiamo bisogno di carità, abbiamo bisogno di diritti e giustizia, frontiere aperte. Gaza è un campo di concentramento, e Israele ancora infierisce con attacchi, incursioni, invasioni. Negli ultimi sei mesi sono stati uccisi 5 israeliani e 218 palestinesi, sono i soldati ormai, non i civili, le vittime accidentali, sono loro gli effetti collaterali di questa guerra. Potrei darle infiniti numeri, statistiche, dirle dell’acqua, la sete, le medicine, il gasolio, morire perché manca la lampadina in sala operatoria, sopravvivere di aiuti umanitari, umiliarsi di elemosina internazionale, e un collasso che è tutto ancora da venire, perché gli agricoltori non hanno più niente da seminare, gli operai più niente da lavorare... E Israele, intanto, che spara. Scelga lei, che inferno preferisce le racconti? Tanto non la scalfirò. La cosa più devastante non è il dramma, ma l’indifferenza. Lei è italiana come Gramsci...Quello che avviene, non avviene perché alcuni vogliono che avvenga, ma perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare... E’ l’indifferenza la materia inerte della storia, la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde’. Vivere significa essere partigiani. La storia un giorno chiederà conto di Gaza. Chiederà a tutti voi - dove eravate mentre Gaza spariva? E’ questa l’unica domanda obbligata. Dove siete? Consumarsi di cancro respinti a un checkpoint... E tutto questo perché? Perché ci sono state delle elezioni democratiche. La risposta è stata il massacro collettivo.

In occidente si scrive Hamas e si legge terroristi. Bisogna dialogare? Bisogna sradicare?

La pace si fa con chi c’è, non con chi si vorrebbe che ci fosse. E comunque Hamas è monolitica solo nei vostri stereotipi, ha i suoi moderati, i suoi pragmatici. E forse anche i suoi estremisti. Ma bisogna organizzare i moderati, come nel governo di unità nazionale - c’è un italiano, Alex Langer... Ricorda? Nelle guerre bisogna parteggiare, diceva, per i disertori. Il governo di unità nazionale è stato il migliore dei governi palestinesi, sia nei rapporti con Israele, cui ha offerto un cessate il fuoco reciproco e totale, sia nelle riforme interne. E’ caduto non per nostra incapacità, ma perché gli europei hanno tagliato gli aiuti economici e gli israeliani hanno trattenuto le entrate fiscali. Con cosa dovevamo governare, con le fiches? Minate tutto quello che non è Hamas o Fatah, poi strillate che esistono solo Hamas e Fatah.

 

Una delle ragioni del radicamento di Hamas è che fornisce servizi sociali, qui che molti ancora non hanno acqua corrente. Lei ha fondato Medical Relief, che oggi garantisce assistenza sanitaria a un terzo dei palestinesi. In un certo senso, è la sua politica dei ‘facts on the ground’ - aiutare la gente a rimanere dove è, dice, perché se rimane, Israele ha fallito.
Solo la concretezza è sovversiva.

Hamas dilaga perché a Oslo l’occidente ha deciso di concentrare tutto il sostegno finanziario sull’Autorità Palestinese, falciando via la società civile. A Deir Ghassaneh, qui vicino, duemila abitanti, un gruppo di donne aveva aperto un asilo con un’associazione di Ginevra. Un piccolo appartamento, cinquanta bambini. Poi da Ginevra hanno trasferito i fondi all’Autorità Palestinese, e l’asilo ha chiuso. E’ rimasto quello islamico, gestito ovviamente secondo il corano. Tutto quello di cui avevano bisogno, a Deir Ghassaneh, erano tremila dollari l’anno. La Palestina è questa. Sono questi i nostri bisogni, queste le scelte lungimiranti - di dollaro in dollaro, bambino in bambino. Invece si guarda un’unica dimensione della sicurezza, quella militare. Ma la sicurezza ha essenzialmente una dimensione sociale. Si ottiene rispondendo alle esigenze della gente. Il fondamentalismo non arriva solo dall’oppressione israeliana ma anche dall’Autorità Palestinese, la sua inefficienza, il suo fallimento. Quando si sostiene l’autocrazia, si sostiene anche il fondamentalismo che reagisce all’autocrazia. Hamas è un prodotto occidentale. Adesso assistiamo a un nuovo collasso delle associazioni laiche. Ma l’occidente può dormire sereno, Hamas ha altre fonti di finanziamento. Ricorda quella poesia di Kavafis? L’occidente avrà i suoi fondamentalisti, i suoi terroristi. Come farebbe, d’altra parte, senza i barbari alle sue porte?

 

Non odia gli ebrei, non ha mai ucciso nessuno... Lei è strano. Lei è persino un musulmano laico. All’università mi hanno insegnato che non esistono musulmani laici. Edward Said diceva che la prima sfida, per i palestinesi, era diventare visibili. Lei è invisibile due volte: lei è un palestinese normale. Ed è proprio con Said - che non trovava mai editori nei paesi arabi - che ha fondato Mubadara.

E con Haidar Abdel Shafi, capo delegazione a Madrid - una delegazione tutta di professionisti e intellettuali, mentre gli israeliani erano guidati da un primo ministro ricercato dagli inglesi per l’assassinio del conte Bernadotte, mediatore di pace delle Nazioni Unite... Sì, quello che direste un terrorista. Ma poi Israele ha ottenuto una nuova delegazione, scelta proprio per la disponibilità a accettare quanto noi avevamo escluso da ogni possibile compromesso. E ha ottenuto Oslo. I palestinesi sono stati traditi due volte, dagli israeliani ma anche da altri stessi palestinesi. Mubadara arriva da qui, una alternativa alla corruzione di Fatah e all’estremismo di Hamas. Ma più che fondare, abbiamo cercato di collegare, creare non un partito quanto una coalizione. La politica per me non è forza, volontà di dominio ma energia di legame, relazioni connessioni. Il primo obiettivo è l’unità perché il primo obiettivo di Israele è la nostra frantumazione e dispersione, non solo fisica, attraverso muri e barriere ma politica, fino alla guerra civile. E invece la nostra risposta è la non violenza, non perché non abbiamo il diritto di reagire ma perché è la non violenza la migliore delle reazioni. Consapevoli però che l’unico modo perché un accordo di pace trovi seguito concreto e duraturo è avere rappresentanti rappresentativi, che decidano insieme a chi deve poi vivere le conseguenze delle loro decisioni. Per questo Mubadara come movimento per la democrazia. E una democrazia che non sia solo politica, ma sociale. Io non voglio una Palestina qualsiasi, non voglio solo la pace ma la libertà e la giustizia insieme, perché la Palestina è ferita da molte disuguaglianze, e non tutte derivano dall’occupazione. La fine dell’occupazione sarà solo l’inizio di un’altra storia. Voglio modernizzare la Palestina - cosa che, per anticipare la domanda che le leggo addosso, non significa affatto occidentalizzare.

 

Ma la democrazia è un’idea occidentale. Voi avete stati autoritari, una società civile fragile, comunità e tradizioni che impediscono una piena libertà individuale... E poi l’islam. L’islam è politica e religione insieme. D’accordo, il corano può essere interpretato in modo più o meno liberale. Ma la democrazia riguarda la gente, non i testi sacri.

La democrazia è una multiforme combinazione di princìpi universali, universali non nel senso di essenze immutabili ma perché storicamente sviluppati dall’umanità - e non da quello che voi chiamate umanità, e cioè l’illuminismo europeo, ma una umanità più larga e vera forgiata dallo scalpello di secoli di scambi e interazioni tra greci, romani, arabi. L’islam è stato all’avanguardia nella liberazione degli schiavi - ma sono certo che nessuno glielo ha mai detto, all’università. La storia è sempre solo la storia dei vincitori. Separazione dei poteri, elezioni, accountability, stato di diritto... I princìpi di fondo della democrazia sono uguali per tutti. Invece di chiedersi cosa può esportare qui, perché non si chiede cosa della nostra cultura può arricchire la sua esperienza di democrazia? Non voglio vivere in un paese come gli Stati Uniti, in cui ognuno è abbandonato a se stesso, in cui si organizzano mense invece che aggiungere posti a tavola. Ma che libertà è la libertà individuale, che povertà è, la libertà della solitudine? L’individuo si afferma differenziandosi da altri individui, le persone diventano tali entrando in relazione con altre persone, con la diversità... Riconoscendosi nella comune diversità. Io voglio una società di persone, non di individui.

 

Lei ha studiato a Stanford. Molti palestinesi ormai considerano il carcere come la loro università. Lei non vive in un refugee camp. Non rischia ogni notte di ritrovarsi in una Sabra e Chatila. La non violenza è un lusso?

Ho due proiettili nella schiena, conosco lussi più piacevoli. Mi hanno ferito sei volte, frantumato un ginocchio, dislocato una spalla e arrestato che non ricordo più il numero. Hanno ucciso uno dei miei collaboratori a un millimetro da me, con un colpo alla testa. Sa come esplode una testa? Ogni palestinese ha il suo privato rosario di orrore e dolore. Essere non violenti non significa essere meno eroici, ma più efficaci. Significa fare affidamento su se stessi, ingegnarsi, sfidare gli israeliani nelle loro regole e leggi, ogni giorno - opporre ai loro ‘facts on the ground’ i nostri facts on the ground, alla loro violenza non la nostra disperazione, ma la nostra bellezza. E’ insieme etica e strategia. Organizzare azioni militari è semplice, organizzare élites di combattenti invece che moltitudini di persone. Ordinare di compiere un attacco mentre si rimane sicuri all’estero. Dove erano i leader dell’Olp mentre noi eravamo qui, mentre venivamo uccisi qui? Non ho mai chiesto a nessuno di fare qualcosa a cui non abbia partecipato direttamente. E’ il primo insegnamento di Ghandi. We must become the change we want to see in the world. Il nostro successo è nel nostro comportamento.

 

Madrid, Oslo, Annapolis... Lei è un cosmopolita.

Mi manca Gerusalemme.(come tutti i residenti della West Bank, Barghouthi, parlamentare, non può entrare a Gerusalemme ndr). Annapolis è completamente inutile. Si basa sulla Road Map. E la Road Map è una cosa in cui si chiede per esempio ai palestinesi di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - le cito testualmente - gli attacchi contro i civili. La fiducia tra le parti? Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. Semplicemente, si chiede ai palestinesi di fare da guardiani dell’occupazione. Non si parla del muro, di Gaza, di Gerusalemme dei rifugiati... Non si parla che di sicurezza, con il risultato che nel nostro bilancio lo 0,1 percento va alla cultura, il 4 percento all’agricoltura, l’8 percento alla sanità e il 35 percento alla polizia. Vogliono militarizzare l’Autorità Palestinese contro il suo stesso popolo. Negli anni Israele non ha che aumentato le sue richieste, e noi ridotto le nostre. Abbiamo già firmato il nostro compromesso, tutto quello che va oltre compromette il compromesso. Abbiamo accettato il 22 percento della Palestina storica. Ma dopo Oslo, l’illusione di due stati lungo i confini del 1967 si è rapidamente dissolta, i coloni sono raddoppiati e non certo per un’espansione naturale, con una ragnatela crescente di strade e barriere a collegare gli insediamenti e stravolgere la nostra geografia politica e economica e le nostre vite. I negoziati successivi si sono concentrati allora su come ripartire la West Bank. Lo status dei Territori è deciso non alle conferenze internazionali, ma ogni giorno con le ruspe e il filo spinato. La prossima volta saremo qui a parlare di insediamenti palestinesi. Saremo noi i coloni di una West Bank israeliana.

 

Dopo Nasser, sappiamo solo delBroader Middle East’ degli Stati Uniti, ovvero, in sintesi, il Medio Oriente come stazione di servizio dell’occidente. Qual è la sua visione del mondo arabo?

Il Medio Oriente ha oggi tre necessità. Primo, autonomia politica ed economica, e l’unica strada è la democrazia, perché quando i cittadini hanno la possibilità di partecipare non è più sufficiente comprare ristrette élites dominanti. Secondo, cooperazione e integrazione, perché il mondo non è più adatto a piccoli stati e intralci di frontiere. E terzo, soprattutto, soddisfare le esigenze sociali basilari, investire in istruzione e sanità. Ma in ogni caso l’indipendenza palestinese non deve essere collegata alla liberazione del mondo arabo. Vogliamo essere soggetti, non oggetti di cambiamento. Il mio modello è il Sudafrica, una resistenza pacifica, unitaria, di massa, con il sostegno internazionale. Qualsiasi solidarietà è benvenuta, qui, non solo quella del mondo arabo.

 

Noi europei sosteniamo di essere diversi. Una potenza civile invece che militare, il Mediterraneo - mare tra le terre, crocevia di civiltà - invece che l’Atlantico, l’oceano degli spazi smisurati, del fondamentalismo dei valori occidentali, dell’individualismo e del libero mercato. Dello scontro di civiltà. Quanto è vera la nostra diversità?

Quale diversità? Avete solo una generosa, instancabile eurodeputata palestinese, Luisa Morgantini. Ma non avete mezza politica estera, ogni volta paralizzati dalla necessità dell’unanimità. Una potenza civile... Adottate forse sanzioni contro Israele? No, comprate armi da Israele. L’unico, incivile embargo lo avete deciso contro di noi. La vostra politica qui è il processo di Barcellona, una retorica di propositi nobili e suggestivi che è solo una ennesima forma di colonialismo e ortopedia neoliberista. Dialogo, partenariato, co-sviluppo... Siete dei poeti. Più semplicemente, condizionate la vostra cooperazione al coinvolgimento di Israele, convinti che l’economia comprerà anche la politica, che dimenticheremo l’occupazione in nome del libero scambio delle zucchine. La pace non è in vendita. Siete solo complementari agli Stati Uniti. A loro la politica, a voi l’economia. Eppure non sa quanto avremmo bisogno di un'Europa europea. Di un'Europa mediterranea che conosca, come dice lei, la misura. Che esprima un’altra idea di mondializzazione.

 

Mondializzazione... Ma qui intanto si combatte una guerra per la terra, una guerra d’altri tempi. Un rapporto con Israele sarà comunque inevitabile. Già ora siete interconnessi, gli stessi tubi per la stessa acqua.

Diciamo di volere due stati, ci offrono ghetti e prigioni. Diciamo allora che è meglio uno stato binazionale, ci accusano di mirare alla demografia invece che alla democrazia, di minare l’ebraicità di Israele. Uno stato, due stati - non importa. Preferisco due stati, ma in primo luogo preferisco vivere, non sopravvivere. Vivere, libero e sovrano. Vivere uguale a tutti gli altri. Uguaglianza tra due stati, uguaglianza all’interno di uno stato non importa, importa che finisca l’apartheid. Perché questa non è più semplice occupazione. E’ apartheid. Ed è un crimine contro l’umanità, l’apartheid.

 

Secondo Israele, il Muro ha fermato gli attacchi suicidi. Sono dunque i buoni steccati a fare i buoni vicini?

Gli attacchi suicidi non sono stati fermati dal Muro, ma dai palestinesi che hanno capito che erano inutili. Israele ha il maggiore arsenale di armi di distruzione di massa del Medio Oriente, nucleare incluso, il rapporto degli uccisi è 48 a 1. Siamo noi ad avere bisogno di sicurezza, non loro. L’ossessione per la sicurezza ha trasformato Israele - non solo la Palestina - in una prigione. Ma la nostra sicurezza è mutualmente interdipendente, non mutualmente esclusiva, come intrecciate sono le nostre paure e le nostre sofferenze e gli incubi dei nostri figli. Un conflitto non è solo opposizione, ma anche interessi comuni. Una strategia non riguarda tanto la ripartizione di vantaggi e perdite tra avversari, quanto la possibilità che certe decisioni invece che altre siano peggiori o migliori per tutti. Qualunque altra cosa possa inventarsi, Israele rimane una goccia di diversità nel mare arabo. Solo attraverso noi può essere accettato come un normale vicino. Non è questione di costruirlo o meno lungo la Linea Verde, il Muro non è che uno strumento per l’apartheid, non va spostato, ma come dice la Corte Internazionale, abbattuto. Gli israeliani possono dare fondo alla loro immaginazione. Insediamenti, strade, muri. Ma noi siamo qui. Siamo noi i primi 'facts on the ground' di questa terra.