28.02.2003
Messaggi di "Palestina Libera"

 

Date: Friday, February 28, 2003

UNO. CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA

DUE. Il diritto allo studio in Palestina

TRE. DONNE di JENIN - Progetto

QUATTRO. WebAggiornamenti

CINQUE. Progetti di solidarieta' per la Palestina

SEI. Gerusalemme sotto la neve

SETTE. PALESTINA: UN NUOVO APARTHEID (Intervista a Jeff Halper )

OTTO. Viaggio di solidarieta' in Israele (!!!)

 

Chi fosse interessato a ricevere la seguente foto puo' richiederla a palestina_libera@libero.it:

* Foto (Loay Aby Haykel/Reuters) di un palestinese ferito ad un occhio (Hebron, 11 maggio):

e' pratica dei militari israeliani utilizzare proiettili di gomma per non uccidere ma rendere invalidi i palestinesi. In questo caso i militari hanno reso cieco il palestinese.

 

UNO. CAMPAGNA DI INTERPOSIZIONE CIVILE IN PALESTINA

"LE TENDE DI RAFAH", Striscia di Gaza

13 - 27 aprile 2003

 

Il Servizio Civile Internazionale sostiene da quasi un anno le campagne di

interposizione civile dell' International Solidarity Movement e continua ad

organizzare campi di lavoro nei territori occupati facilitando la formazione

e l'invio di gruppi di attivisti e volontari.

 

Dopo l'esperienza di alcuni attivisti italiani, lo SCI ha scelto di

focalizzare la prossima missione su Rafah, nella striscia di Gaza.

 

Rafah si trova al confine con l'Egitto, proprio dove l'esercito israeliano

sta costruendo un muro di separazione distruggendo tutto

nel raggio di 100-150 metri comprese case e campi coltivati che si trovano

lungo questa "striscia di sicurezza".

Inoltre la zona e' circondata da chek points che impediscono il movimento ai

civili palestinesi aumentando ogni giorno la poverta' e l'oppressione.

 

L'idea di piantare delle Tende di pace e' nata dalla volonta' dei palestinesi

e degli attivisti italiani che hanno partecipato alla missione di dicembre

di dare visibilita' e tangibilita' alla loro presenza in quell'area, adottando

uno strumento concreto di interposizione per proteggere la popolazione, le

abitazioni, la terra e le infrastrutture.

Gli attivisti affiancheranno i palestinesi nelle attivita' quotidiane,

scorteranno i bambini a scuola, i dottori e le ambulanze affinche' svolgano

il loro lavoro, collaboreranno ai lavori di ricostruzione e riparazione,

organizzeranno sit-in e manifestazioni di protesta.

 

La presenza internazionale, se coordinata e numerosa, puo' ridurre

l'aggressivita' e puo' evitare le demolizioni delle infrastrutture. Inoltre e'

importantissima per rompere l'isolamento al quale i Palestinesi sono

costretti e per costruire un'informazione alternativa.

 

Le partenze per la campagna sono le seguenti:

- 13 aprile per il training I.S.M. in Palestina del 15-16 aprile;

- 20 aprile per il training I.S.M. in Palestina del 22-23 aprile.

 

Per i volontari in partenza, il Servizio Civile Internazionale organizza un

incontro di formazione il 29 e 30 marzo a Roma (scadenza iscrizioni il 23

marzo).

Si consiglia una permanenza minima in Palestina di 10 giorni.

Per maggiori informazioni contattare Caterina o Raffaella presso:

Servizio Civile Internazionale

Tel.: 06.5580661/44

Fax.: 06.5585268

E-mail: info@sci-italia.it

www.sci-italia.it

 

Per chi volesse partire in altri periodi, anche gia' a marzo o dopo il

periodo di Pasqua, o per chi non potesse raggiungere Roma, abbiamo

organizzato 3 ulteriori incontri di formazione pre-Palestina :

- dalla sera del 7 al 9 marzo 2003 a Zonca (Domodossola), adesioni entro la

sera del 5 marzo. Nicola:340.6774683 - wakancrist@libero.it. Stefano:

349.7115462(Venezia) - mustafa2912@yahoo.it - stefano.orlando29@libero.it

 

- dalla sera del 14 al 16 marzo 2003 presso villaggio di Avalon (Pistoia),

adesioni entro 10 marzo a Mario: 339.1260175.

- dal 15 al 16 marzo 2003 a Bari, per adesioni contattare Andrea:

333.7033589 o 080.629789 - andreaerdna@libero.it

 

DUE. Il diritto allo studio in Palestina

[il 28 marzo 2003 si terra' una giornata di studio all'Universita' "La Sapienza" su

"Stato della ricerca e del diritto allo studio nelle universita'

palestinesi"]

 

Un appello per il "diritto allo studio" in Palestina

 

Ci siamo recati in Palestina nella prima settimana di ottobre per visitare le

 Universita' di Birzeit, Al-Quds, Betlemme, Al-Azhar in risposta allŽappello, che,

 di fronte alla crescente gravita' del conflitto israelo-palestinese, alcuni

docenti della Facolta' di Scienze Umanistiche dellŽUniversita' di Roma "La Sapienza"

hanno promosso e che e' stato sottoscritto da piu' di 150 colleghi di diverse discipline

 e universita' italiane. La comunita' universitaria, con questo appello, ha inteso unire

la sua voce a quella di quanti si esprimono per la fine dellŽoccupazione e delle azioni

 militari israeliane in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, per lŽavvio del processo

di decolonizzazione, per la ripresa dei negoziati e la realizzazione di una pace fondata

 sulla giustizia e il rispetto dei diritti di tutti (profughi palestinesi inclusi),

per la formazione di uno Stato Palestinese indipendente e sovrano accanto allo Stato

dŽIsraele, ritenendo che compito delle autorita' accademiche e delle forze politiche

sia contribuire e sostenere iniziative culturali volte al dialogo, alla conoscenza

della questione israelo-palestinese, alla promozione di una cultura di pace.

Siamo convinti che il nostro contributo di docenti alla realizzazione di questo

 processo possa costruirsi sulla partecipazione e collaborazione con universitari

 palestinesi e israeliani. Partire, con una prima delegazione, poteva essere un

inizio, un modo di testimoniare solidarieta' a studenti e a docenti, ai quali e'

impedito il diritto allo studio e alla ricerca. L'Universita' di Birzeit,

vicino Ramallah, e', con 5000 iscritti, una delle piu' prestigiose istituzioni

universitarie palestinesi. Tra le offerte dellŽUniversita': un corso di studi

arabo-palestinese, rivolto agli studenti stranieri e un Istituto di Salute

Pubblica che intreccia elaborazione scientifica e intervento politico.

LŽubicazione particolare dellŽUniversita', vicino alla sede dellŽAutorita'

Palestinese, la vede oggetto di continui controlli e restrizioni,

che contribuiscono a renderne difficile lŽaccesso al punto di rischiare

di trasformarla in una istituzione locale o fruibile solo da chi puo'

permettersi un alloggio in citta'. Il problema della mobilita' negata coinvolge

 studenti e docenti: check-points, coprifuoco, occupazione militare non

permettono il normale svolgimento della vita universitaria.

Lo scorso semestre e' stato concentrato in sole 5 settimane. A causa della

crisi economica determinata dall'occupazione israeliana, le famiglie spesso

non sono in grado di pagare le tasse dŽiscrizione. DŽaltra parte, un budget

universitario non puo' reggersi solo sulle entrate delle tasse, e i finanziamenti

dati alle universita' dallŽAutorita' Palestinese con il contributo della Comunita' Europea,

di singole nazioni e della Lega Araba sono oggi fortemente ridotti a causa delle

emergenze del conflitto. Malgrado questi gravi problemi, i docenti palestinesi

si impegnano per preservare la qualita' dellŽistruzione e della ricerca, e per

arginare il fenomeno della dispersione degli studenti, che si e' verificato durante

 la prima Intifada. La situazione non e' diversa in altre universita', come emerge

dall'incontro con i docenti dell'Universita' di Betlemme e dell'Universita' di Al-Quds.

 QuestŽultima, nel villaggio di Abu Dis, vicino a Gerusalemme,

dove sorge un tratto del "muro" che il governo israeliano sta edificando con

un progetto che porta il nome surreale di "Avvolgere Gerusalemme", ha avuto

una grande espansione negli ultimi dieci anni, ma adesso, con l'inasprirsi

della stretta politica e militare, si trova a fronteggiare analoghe difficolta'.

L'Universita' Al-Azhar nella Striscia di Gaza, e' la piu' grande della Palestina.

(14.000 studenti, il 40% studentesse). Anche a Gaza, blocchi stradali, check-points

 e continue incursioni militari colpiscono duramente studenti e docenti che provengono

 da diverse citta' e villaggi. e' quanto denunciano le studentesse che incontriamo,

 raccontando di spostamenti anche per brevi tragitti che durano fino a sette o

otto ore, di notti passate ai check-points, di giornate perdute perche' si

viene rimandati indietro, di umiliazioni, minacce e violenze psicologiche di ogni tipo.

 Come salvaguardare la qualita' dell'esperienza formativa in questa situazione

e' la questione centrale per gli universitari palestinesi. Le soluzioni di emergenza

 che le universita' stanno fornendo - corsi  a distanza, ripetizione delle lezioni,

 slittamento dei semestri, affitto di locali - non possono che essere temporanee

e inadeguate. Il controllo sulla mobilita' e sulla vita dei palestinesi e' lo strumento

 di cui Israele si serve nella sua strategia di occupazione e di espansione.

La negazione del diritto allo studio, dalle elementari allŽuniversita'

costituisce una grave violazione della dignita' e dei diritti fondamentali

dellŽessere umano. Per questo la priorita' e' fare tornare gli studenti nei

campus e in questa direzione va il progetto "Right to Education" di Birzeit

 che chiede il sostegno della comunita' accademica internazionale.

 

Maria dŽErme (Univ. "La Sapienza", Roma), Armando Gnisci (Univ. "La Sapienza", Roma),

 Giulia Fanara (Univ. "La Sapienza", Roma), Federico Lastaria (Politecnico, Univ. di Milano),

 Donata Meneghelli (Univ. di Bologna), Gabriella Rossetti (Univ. di Ferrara),

 Patrizia Violi (Univ. di Bologna).

Si ringrazia lŽon.le Luisa Morgantini - Assopace, le Donne in Nero per

lŽorganizzazione del viaggio.

(EŽ possibile richiedere a Palestina_libera@libero.it la versione completa dellŽarticolo)

 

TRE. DONNE di JENIN

le DONNE IN NERO con   

PALESTINIAN WOMEN'S UNIONPALESTINIAN MEDICAL RELIEF COMMITTEESWOMEN'S STUDIES CENTER

chiedono il tuo sostegno

 

DONNE di JENIN

Campagna di raccolta fondi per le donne dei campo profughi

le studentesse universitarie e lŽimprenditoria femminile

 

"A Jenin (Palestina) non ci sono i resti delle case, ma polvere, tutto e' stato distrutto dopo

essere stato abbattuto, camminiamo su vestiti ammucchiati, resti di pavimenti, frammenti

di tazzine, giocattoli: calpestiamo i ricordi e la vita stessa. Donne si aggirano lente tra

 le macerie, riconoscono i loro oggetti, si siedono, parlano tra loro, piangono: hanno perso

 tutto ma non vanno via. Costruiscono tende con coperte lacere, stendono a terra un materasso

 e li' dormono."

Da Elvira, Teresa, Maria Teresa

Campo profughi di Jenin, maggio 2002

 

"Grazie per il vostro aiuto, e' vero non ho piu' niente, ma non e' solo lŽacqua di cui ho bisogno,

 puoi fare qualcosa per restituirmi mio padre? Puoi darmi un poŽ di giustizia? Giustizia,

ne abbiamo tanto bisogno e diritto"

Najwa, 13 anni a Luisa,

 

Campo profughi di Jenin, aprile 2002

Il 3 aprile 2002 lŽesercito israeliano e' entrato nel campo profughi di Jenin per compiere la

sua missione di rastrellamento dei sospetti terroristi isolando cosi' lŽintera area con carri

 armati, bulldozer e aerei da guerra. LŽHuman Rights Watch denuncia le seguenti violazioni

dei diritti umani: 140 case di-strutte e altre 200 rese inabitabili; 52 morti di cui 22 civili;

 civili usati come scudi umani, 8 giorni di totale chiusura del campo allŽaccesso di medici,

ambulanze e della Croce Rossa Internazionale. Moltissime donne del campo sono rimaste senza

 casa e senza fonte di reddito e devono far fronte ai bisogni immediati delle loro famiglie.

Tutto questo quando gia' da due anni la citta' e' sotto occupazione militare e di conseguenza

vive una situazione di gravissima crisi economica che impedisce alle ragazze di continuare

i loro studi e toglie alle donne qualsiasi risorsa da investire in progetti per il futuro.

 

Le Donne in Nero sono una rete internazionale di donne che ripudiano ogni forma di guerra,

di terrorismo, di fondamentalismi e di violazione dei diritti umani e civili, ricercano

pratiche non violente per la risoluzione dei conflitti, promuovono la diplomazia dal basso

e la partecipazione attiva della donne ai tavoli delle trattative tra le parti, dove la

loro presenza ed esperienza e' necessaria e preziosa. A muoverle e' la relazione diretta con

le donne dei luoghi difficili, Palestinesi, Israeliane, dei Balcani, Afghane, Kurde,Turche,

Algerine, con tutte coloro che lavorano per l'affermazione di una politica internazionale

delle donne libere da guerre, violenze e poverta' per tutte e tutti.

Questa campagna nasce dalla rete di relazioni gia' esistente tra le Donne in Nero italiane

e le donne palestinesi. Le radici di questo progetto risalgono al 1988 quando con un gruppo

di donne ci recammo a Gerusalemme per costruire relazioni con donne palestinesi e israeliane,

per superare il conflitto e lŽoccupazione militare israeliana, nel riconoscimento reciproco

del diritto alla sovranita', alla liberta', per due popoli e due stati.

In questi anni molti sono stati i progetti e le iniziative che abbiamo fatto in comune.

 in questŽultima Intifadah a partire dal dicembre 2000, con "Io donna vado in Palestina"

molte donne, in Nero e non solo, sono state testimoni delle violazioni dei diritti,

cercando con la loro presenza di essere un argine alla violenza e alle umiliazioni subite

dai palestinesi e intessere relazioni con le forze pacifiste israeliane e il movimento

sociale palestinese.

 

Il Women's Studies Center e' una ong palestinese di donne fondata nel 1989 per garantire

uguali diritti e pari opportunita' in campo economico, sociale e politico alle donne.

Il Women's Studies Center coordina un comitato di donne per il sostegno a studentesse

universitarie palestinesi costrette ad abbandonare l `universita' a causa dellŽ'occupazione

 militare israeliana che ha fatto crescere i costi degli studi superiori.

La Women's Union e' unŽorganizzazione politica di donne palestinesi. Nate alla fine degli

 anni '70, il loro obiettivo e' la cre-scita politica delle donne per il loro pieno

 coinvolgimento nella vita pubblica e nella lotta di resistenza nazionale.

Sviluppano programmi specifici per favorire l'ingresso delle donne nel mondo

del lavoro e per far loro conoscere i loro diritti. Nel campo profughi di

Jenin si sono mobilitate in aiuto delle donne che hanno perso assolutamente

tutto sul piano materiale ma soprattutto sono state private di qualsiasi sogno

per il loro futuro e per quello delle loro famiglie.

 

 

I Palestinian Medical Relief Committees (PMRC) sono dei comitati locali di assistenza

socio-sanitaria che organizzano piu' di 3000 volontari in tutti i territori palestinesi.

Operano accanto alle strutture istituzionali dell'ANP per far fronte all'attuale

situazione di emergenza. La loro filosofia si incentra sul-l'idea di societa' civile,

quale soggetto ricco di valori ed energie da mobilitare e valorizzare per garantire

la crescita democratica del paese. Nell'area di Jenin, malgrado le difficolta'

economiche e di movimento indotte dallŽoccupazione militare, esistono 13 gruppi

di donne gia' attivi, dotati di una propria progettualita' e di un minimo di capacita' finanziaria.

 

DAI UNA MANO ANCHE TU

alle donne palestinesi che non vogliono essere unŽaltra volta profughe,

che vogliono giustizia e ricostruire cio' che e' stato distrutto dallŽesercito israeliano

 che continua a occupare illegalmente la loro terra: aiutiamole a progettare un futuro

di convivenza e di pace per se' e per i loro figli.

 

NON AVERE TIMORI, SERVIRa'

o con 100 euro si garantisce ad un nucleo familiare del campo profughi di Jenin (5 persone) il cibo necessario per un mese

o con 250 euro si garantisce ad una studentessa di Jenin un semestre di iscrizione in una universita' palestinese

o con 750 euro si garantisce alle donne di un villaggio di Jenin un anno di affitto dei locali necessari per attuare i loro progetti

 

PUOI VERSARE:

o bonifico bancario su c/c n. 106500

intestato a Donne in Nero,

ABI 5018, CAB 12100,

presso Banca Popolare Etica Padova

o versamento sul c/c postale n. 12182317,

intestato a Donne in Nero - Banca Etica,

indicando nella causale "c/c n. 106500"

 

Puoi scegliere a chi dare il tuo aiuto

specificando una causale tra le seguenti:

o "Donne di Jenin/Donne del Campo"

o "Donne di Jenin/Studentesse"

o "Donne di Jenin/Donne dei Villaggi"

 

Campagna Donne di Jenin - Palestina

Donne in Nero

Via IV Novembre, 149 - 00197 ROMA

tel. (+39) 06 69950217

06 69200975

fax (+39) 06 69950200

e-mail: dinperjenin@yahoo.it

 

QUATTRO. WebAggiornamenti

ultime da Indymedia Israel

http://www.indymedia.org.il/imc/israel/webcast/front.php3

IL sito di Gush-Shalom e' sempre ricco di informazioni, foto, aggiornamenti ed approfondimenti

http://www.gush-shalom.org/english/index.html

 

CINQUE. Progetti di solidarieta' per la Palestina

http://www.tmcrew.org/int/palestina/progetti.htm

 

SEI. Gerusalemme sotto la neve

http://electronicintifada.net/v2/article1205.shtml

 

SETTE. PALESTINA: UN NUOVO APARTHEID

 

Intervista a Jeff Halper

a cura di ALESSANDRA GARUSI

 

Jeff Halper, urbanista israeliano e docente di antropologia all'Universita'

Ben Gurion del Negev, coordina il Comitato israeliano contro la demolizione

delle case palestinesi (Icahd).

MO lo ha intervistato.

 

"Che diavolo sta succedendo qui?" Chi urla queste parole in mezzo al

rumore assordante delle ruspe e ai calcinacci che cadono tutt'intorno, e'

Jeff Halper. Ogni volta che un bulldozer israeliano comincia a radere al

suolo un gruppo di case, un villaggio palestinese, il suo telefonino

(+972-50-651425) immancabilmente squilla. Qualsiasi sia l'ora del giorno o

della notte, lui si precipita. Barba corta, 56 anni ben portati, occhiali e

una valigia strapiena di case. Si direbbe il classico professore. Di fatto,

lo e': insegna antropologia all'Universita' "Ben Gurion" del Negev. Ma e' anche

il coordinatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case

palestinesi (Icahd).

Cresciuto negli anni 60, in un'America molto politicizzata, da 30 vive in

Israele, dove lavora come "antropologo impegnato". Quand'e' sulle barricate,

pensa ai libri che vorrebbe scrivere; quando sale in cattedra, lo fa con

l'esperienza dell'uomo della strada. La professione, la vita privata,

l'impegno sociale s'intersecano. Sono tutt'uno. Ecco, dunque, l'analisi di

un israeliano che ama il suo paese e, proprio per questo, lo critica senza

riserve.

Una vita di sicuro non bastera' a raggiungere la fine dell'occupazione, lo

smantellamento delle colonie e la creazione di uno stato palestinese

indipendente e sovrano accanto a quello di Israele. Tuttavia, Jeff Halper e'

fermamente convinto di lavorare in un solco. E di poter poi passare il

testimone alle generazioni future. Lo abbiamo incontrato alla "Casa della

Cultura" di Milano, a margine di una conferenza organizzata dal mensile Una

Citta'.

 

Attentati palestinesi da una parte, rappresaglie israeliane dall'altra. Il

sangue continua a scorrere in Medio Oriente. Ma qualcosa sta cambiando?

Siamo in una situazione completamente diversa, rispetto ad un anno fa. Dopo

la rioccupazione di parte della Cisgiordania, il massacro di Jenin e la

rappresaglia su Nablus, il premier Sharon ritiene di essere ad una svolta:

alla fine della guerra, alla sconfitta finale dei palestinesi. Adesso tutto

e' piu' difficile. E l'ipotesi stessa che possa esserci un giorno uno stato

palestinese indipendente, appare piu' remota.

 

Da marzo 2002 ad oggi, che cos'e' successo nella West Bank e a Gaza?

La West Bank e' stata totalmente distrutta: dalle infrastrutture (le banche,

le anagrafi, ecc.) ai campi coltivati, alle case. Mentre Gaza resta intatta.

Il governo israeliano vorrebbe spostare qui il "cuore" della Palestina;

Sharon l'ha chiamata "il cestino dell'Amministrazione palestinese". Di

fatto, sara' la prigione dell'Olp. Nel frattempo, Gaza e' stata suddivisa in

tre cantoni; e la West Bank in otto, che possono essere pero' raggruppati fra

loro in tre: il cantone nord sara' attorno a Nablus, circondato da un muro

lungo 300 km, cioe' tre volte quello di Berlino, il cui costo si aggira

attorno ai 500 milioni di Euro; al centro ci sara' il cantone di Ramallah; il

terzo, a sud, e' quello Hebron (pure isolato). Oltretutto, dato che il Muro e'

stato costruito al di la' della "linea verde" (ex linea armistiziale pre-67),

100mila palestinesi saranno condannati a vivere nella terra di nessuno, fra

il Muro e la linea verde.

Ripeto: sia il Likud che il partito laburista ritengono che il conflitto

sia finito, e che a Jenin sia stato piegato lo spirito di resistenza

palestinese. Grazie all'appoggio incondizionato del Congresso americano - ma

anche grazie alla neutralizzazione delle Nazioni Unite e alla passivita'

dell'Unione Europea - Israele e' quindi riuscita nel suo intento: chiudere in

isole i palestinesi.

 

Si tratta di un processo del tutto irreversibile?

Tre fattori possono fare la differenza: la "strada palestinese" che e' stanca

e non sa quanto ancora potra' resistere, eppure non ha rinunciato alla lotta;

il movimento pacifista israeliano, che e' piccolo, ma determinato e lavora

gomito a gomito con la controparte palestinese; ci siete voi, la societa'

civile internazionale. Se la lotta dei palestinesi, diventa la vostra

lotta - come la lotta dei neri sudafricani contro il regime bianco del

presidente Botha smise, ad un certo punto, di essere una "questione

locale" - allora un'inversione di tendenza diventera' possibile.

Veniamo al suo impegno nell'Icahd. Perche' la demolizione delle case e' sempre

stata (ed e' tuttora) al centro del conflitto israelo-palestinese?

La demolizione delle case e' una questione politica di fondamentale

importanza. Come Icahd, stiamo lavorando su questo tema da almeno 6-7 anni;

ma ogni volta che tentiamo di spostare la nostra attenzione altrove, ecco

che - boom - un'altra demolizione ci fa tornare sui nostri passi. L'attacco

al campo rifugiati di Jenin, con 9-10 bulldozer del tipo "D-9" (enormi,

disegnati in modo che quando abbattono una casa, il conducente resta

illeso), e' stato esemplare: l'"eroe", premiato con una medaglia

dall'esercito israeliano, e' appunto uno degli autisti, che per 75 ore ha

guidato attraverso una zona densamente abitata, abbattendo tutto cio' che gli

si presentava di fronte. Intervistato, ha detto di "non aver mai provato una

felicita' di quel genere"...

Ora la politica e' poi quella di demolire le case di persone accusate di

terrorismo, o dei loro famigliari, quando non si tratta di lontani parenti.

E ci si chiede appunto perche'. Allora si comprende che tutto non inizio' nel

'67 con l'abbattimento di 9mila case, ma nel '48, quando Israele demoli' 418

villaggi palestinesi. Quindi la risposta non puo' essere soltanto politica,

cioe' finalizzata a confinare i palestinesi in alcune aree. Non puo' essere

solo una punizione, o un deterrente nei confronti di attentati terroristici.

Penso che la ragione profonda - ed e' per questo che e' cosi' ricorrente - sta

qui: Israele e' impegnata in un processo di spostamento generale. Vuole

dislocare tutti la popolazione palestinese e assicurarsi l'intero

territorio, cosa che del resto ha gia' fatto. Vuole una situazione che sia

irreversibile.

 

Qual e' il messaggio del bulldozer?

Il messaggio e': non c'e' posto per te nell'intero paese. Se sei un rifugiato

(e la maggior parte dei palestinesi nei Territori lo e') e se non puoi

tornartene a casa perche' la tua casa non esiste piu', non ti consentiremo di

trovare un altro luogo. Ecco perche' la demolizione delle case continua ad

essere al centro del conflitto: e' il simbolo e, insieme, lo strumento della

dislocazione dei palestinesi.

 

Lei ha scritto che il bulldozer e il carro armato esprimono perfettamente la

relazione di Israele con i palestinesi. Ci puo' spiegare meglio?

Sono complementari. Il carro armato e' il simbolo della conquista: mira a

sconfiggere i palestinesi in senso militare. Il bulldozer e' cio' che viene

dopo. Mentre il carro armato crea una situazione in cui l'altro e' sconfitto,

ma resta presente: puo' rialzarsi ancora; ci possono essere negoziazioni

politiche... Nel caso del bulldozer, l'altro viene eliminato. La casa, il

villaggio scompare. La possibilita' di un ritorno scompare. Alla sconfitta

rappresentata dal carro armato, dunque, segue sempre la dislocazione

rappresentata dal bulldozer.

 

David Grossman ci ha recentemente dichiarato: "Cerco di decodificare i segni

di autodistruzione. Perche' e' questo che stiamo facendo: il nostro e' un

suicidio collettivo". A suo giudizio, c'e' qualcosa di irrisolto nella psiche

collettiva israeliana?

e' una domanda difficile. Ci sono centinaia di risposte possibili.

Innanzitutto va ricordato che il sionismo inizio' nel XIX secolo, con

l'insorgere del nazionalismo. Esso adotto' un tipo di nazionalismo tribale

dell'Europa dell'Est che, a differenza di quello occidentale, era esclusivo.

Aveva un orientamento maggiormente statalista. Cio' che ha intrappolato

Israele nella condizione odierna, e' il fatto stesso di aver avanzato una

richiesta esclusiva. Hanno detto: il paese e' nostro. Nessun altro popolo ha

il diritto di rivendicarlo. Gran parte di questa dinamica era dunque

iniziata ben prima che gli ebrei mettessero piede in Israele.

Secondariamente, gli israeliani non vedono se stessi come prigionieri di

un meccanismo che li portera' all'autodistruzione. Se si guarda agli ultimi

cent'anni di storia, sono andati di successo in successo. Da un'economia di

villaggio e un territorio in mano agli arabi, si e' passati ad uno stato

ebraico, dove gli ebrei controllano il 94% delle terre, mentre gli arabi

sono stati spinti nell'angolo. E in questo Israele non e' solo: ha l'appoggio

delle superpotenze, in primo luogo dell'Amministrazione americana. Non c'e'

niente che lo possa toccare: l'Europa di sicuro non avviera' azioni proprie,

discordanti dalla linea statunitense. L'economia israeliana e' tuttora

fortissima: e' tre volte quella dell'Egitto, Siria, Giordania, Palestina e

Libano messe insieme.

Certo, mi e' difficile credere che l'occupazione possa avere la meglio. Che

un popolo possa mantenerne un altro sottomesso per sempre. Non si puo' avere

una societa' normale, sana, etica e, contemporaneamente, un'occupazione.

Israele, in parte, crede di essere vittima; e, in parte, utilizza

cinicamente questo concetto.

 

In che senso?

Nel momento in cui gli ebrei si sentono "le vittime" per eccellenza, si

pongono al di fuori di qualsiasi responsabilita'. Il lato positivo

dell'essere vittima, e' infatti che uno puo' agire come gli pare. Perche' "si

sta solo difendendo". Quando il campo rifugiati di Jenin e' stato invaso, la

lotta era impari fra uno degli eserciti piu' forti del mondo e dei poveracci.

Eppure Israele ha visto se' stessa come "la vittima" del terrorismo

palestinese. Una delle logiche conseguenze di questo e' che la gente non

riflette. E non puo' riflettere. Perche' se lo facesse, vedrebbe tutta una

serie di cose che non vuole vedere: il torto e la ragione non stanno al 100%

da una parte sola. Se si apre una crepa ammettendo, ad esempio, che nel '48

gli israeliani ebbero un ruolo nel sorgere della "questione rifugiati",

l'intero castello di sabbia crollerebbe.

 

Come prevede che andranno le elezioni previste per il 28 gennaio?

Sharon succedera' molto probabilmente a se stesso. Hanno voluto rompere il

governo di unita' nazionale per andare ad elezioni anticipate. Ma entrambi,

il Likud come il partito laburista, hanno promesso di ritornare ad un

governo di unita' nazionale dopo le elezioni. Quindi, vedremo un governo

molto simile a quello appena caduto. Anche se due terzi degli israeliani

vogliono il Muro, la separazione, vogliono disfarsi dell'occupazione - la

sentono come un Albatros attorno al proprio collo - nessuno glielo dara'. E

nell'assenza totale di leadership, di una soluzione politica ("perche' i

palestinesi non vogliono la pace"), la sola via e' resistere, finche'

qualcosa, qualcuno irrompera' sulla scena. Chiunque sia.

C'e' molto poco spazio anche solo per il dibattito in Israele. Non

vogliono parlare di elezioni. Vogliono solo poter salire sul pullman la

mattina, scendere la sera, andare al supermercato, comprarsi la cena e

tornare a casa sani e salvi. Questo e' tutto. Da una nazione che nel '48

aspirava ad essere "una luce per gli altri", ci siamo ridotti in questo

stato. Che e' molto triste, ma e' qui che ci ha condotti l'occupazione: al

minimo delle nostre aspettative.

 

E il nuovo leader dei laburisti, Amram Mizna?

e' esattamente quello che vogliono gli israeliani. Quando ha annunciato la

sua candidatura, c'e' stato un grande entusiasmo. E lui si e' assunto

l'incarico dicendo: "Usciremo da questa dannata occupazione. Vi portero' alla

pace. Ci sbarazzeremo degli insediamenti...". La gente lo avrebbe seguito

ciecamente. Ma poi si e' rivelato un politico laburista grigio. Non ha un

carisma, un programma. Certo, almeno e' una faccia nuova. Ma non c'e' alcuna

possibilita' che possa diventare premier.

 

Ha mai pensato di lasciare Israele?

Venni in questo paese come parte di una ricerca identitaria. Ho lasciato per

sempre gli Stati Uniti: davvero, non sento alcun senso di attaccamento. Vivo

in Israele da trent'anni, ho una moglie, dei figli, ho un'intera vita qui.

Anche se politicamente non sono contento, e' comunque l'esistenza che ho

costruito. E poi sarebbe il colmo che, proprio quando la lotta si fa piu'

dura, decidessi di andarmene. L'impegno della mia vita perderebbe senso. Nel

movimento dei diritti civili, uno e' perfettamente consapevole che

un'esistenza non basta: si lotta contro potentissime forze culturali,

economiche e politiche. Si continua a lavorare, facendo il possibile. E poi

si passa il testimone alla generazione futura. e' questa la prospettiva che

ho.

 

A cura di ALESSANDRA GARUSI

Fonte: Missione Oggi

 

OTTO. Viaggio di solidarieta' in Israele

Oltre ai viaggi Assopace, DIN, Action  For Peace, etc esistono anche quelli a sostegno

della sola Israele; puo' essere interessante un confronto. Eccone un esempio:

 

EL AL E MIN VIAGGI

PRESENTANO

viaggio di solidarieta' in Israele

02-09 MARZO 2003

In collaborazione con il KKL di Roma

la Federazione Associazione Italia Israele

Domenica 2:   Arrivo e trasferimento a Gerusalemme

                                Partenza da Roma Fiumicino, con volo EL AL, h 11:00

                                arrivo a Tel Aviv h15:15.

                        Partenza da Malpensa, con volo EL AL h 12:30

                                arrivo a Tel Aviv h 17:20

                                Possibilita' di partenza da altri aeroporti italiani

 

Lunedi' 3:         Incontro al Ministero degli Esteri con Ilan Shtulman

                        Visita alla Corte Suprema

                        Giro panoramico di Gerusalemme

                        Monte Herzl e Yad Vashem

                        Visita della citta' vecchia, attraverso i quartieri che la

                                caratterizzano, arabo, cristiano

                        ed ebraico con il Tunnel

                        Possibilita' di tempo libero al mercato arabo

                        Cena e pernottamento in albergo ( Park Plaza Hotel)

                        dopo la cena, incontro in albergo con alcune vittime del

                                terrorismo.

Martedi' 4:     Tempio Italiano e Visita del Museo. Incontro con

                               rappresentanti della Comunita' ebraica italiane

                              incontro e dibattito con la giornalista Fiamma Nirenstein

                       Visita alla Torre di David

                       Tempo libero

                       Trasferimento ad Arad

Mercoledi' 5:  Visita di Tel Arad

                       Visita al museo dell'Aviazione israeliana

                       Beer Sheva e pranzo libero al centro commerciale della

                               citta'.

                       Visita al Kibbutz di Revivim per conoscere la storia.