Samih al-Qasim
Gaza
E
l’orco, e la fenice, e l’amico fidato
conosco, i
loro volti so a memoria.
Anche la
morte sa tutto a memoria.
Nella folla giù al porto di
coloro
che
vengono da un’epoca antica
e delle
aspirazioni di coloro
che sono
stati anticamente uccisi
nel porto
delle barche
delle lingue
ci guardi
Dio clemente dal male
che le sue
mani hanno creato,
ci
protegga dal male del maligno
che le sue
mani hanno forgiato.
Orco e fenice, ed il sangue, e
le reti
la
discendenza e il compagno fedele
dall’inizio
del mondo stanno là,
là alla
fine del mondo.
L’alta sua fronte, un albero
maestro
oscillante sul
tetto del fumo.
Mi rivolgo a lei, sul collo
i ceppi
d’una morte temporanea,
e le
chiedo: le mura
della
prigione leccano
la
vergogna; che cosa, chi sei tu?
Una città oppure un avamposto
una
trincea di petti tatuati
da ogni
tipo di armi,
o sui
petti coraggiosi
sono tutte
le armi ottuse e offese?
Che cosa sei, chi sei?
Sei città, sei macello?
Gli stranieri controllano
di tanto
in tanto il melo
della ferita
tua, se fiorirà.
Per i vincenti razziatori
controllano gli
estranei
la tua
ferita che all’ombra
del gelsomino
fa sangue.
Diagnosticano: forse
morirà,
all’alba
forse Gaza morirà.
Ma
nell’alba triste tornano
le grida
del tuo amore, ed è più forte
la vita,
più forte!
Salve a te,
sorella ai
resistenti
più forte,
più in alto. Salute,
o
sorella ai miracoli,
i miei
piedi, in catene da vent’anni,
le mie
mani da vent’anni,
straziato amore,
nel fuoco:
vent’anni,
ahimè vent’anni
di notte
e filo spinato
sono la mia
finestra verso te,
sono ancora
un amore
vietato,
io
bambino che gioca nella piazza,
giovanile
violenza a chi violenta
te sulla
terra tua,
l’ucciso
sul marciapiede,
i
vigorosi i forti che non cadono,
io le
case,
l’arancio
la
sofferenza io la resistenza
le
centinaia io, io le migliaia.
Oggi gli innamorati
devono
scegliere morte
o eterna
separazione.
Oggi le nozze del mio sangue
sparso:
viviamo io e
tu
amore
perseverante
o
moriamo.